in allegato lo studio Solvay integrale del 1983: recuperare i fanghi è possibile.
Obbligare Solvay a chiudere gli scarichi e riciclare i suoi fanghi
Dopo le “schiumate” alle spiagge bianche del 10-12 ottobre scorsi, che Arpat ha ricondotto a scarichi Solvay, giova indignarsi e tornare a chiedere la chiusura degli scandalosi scarichi Solvay a mare.
In un vecchio studio del 1983 della Solvay, sollecitato dalla istituzioni del tempo (oggi chi si sogna più di chiederle qualcosa del genere ? ) dal titolo”Smaltimento in mare dei fanghi provenienti da alcuni settori di produzione dello stabilimento di Rosignano, studio delle possibilità di ricupero delle sostanze in essi contenute in relazione al loro valore energetico ed economico”, la multinazionale descriveva vari processi per recuperare i fanghi e riciclarli in settori come la produzione di gesso, la cementeria, la siderurgia o l’agricoltura, o almeno trattenerli e stoccarli in dighe, concludendo sbrigativamente che tutti questi sistemi erano costosi (per lei) ed era preferibile continuare a scaricarli in mare gratis. “E’significativo che le sodiere che in Europa hanno potuto ampliare le loro produzioni di carbonato siano proprio quelle situate in prossimità del mare”, afferma a pag. 10, dimenticando quella di Lisbona (Povoa), che invece è stata chiusa nel 2013, che pur poteva scaricare nel grande estuario del fiume Tago, a pochi km dall’oceano e da Lisbona.
C’è una pagina tuttavia che va riletta più attentamente 35 anni dopo (pag. 36-39) : “blocchi di calcestruzzo espanso leggero … investimenti necessari 46 miliardi di lire (23 milioni di euro, ndr). Quindi investimenti di grossa entità per produrre un prodotto a costi grosso modo equivalenti rispetto a quello fabbricato usando i materiali tradizionali (calce, cemento, sabbia, polvere di alluminio) e per il quale il mercato in Italia è praticamente inesistente.”
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