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gli yemeniti possono essere massacrati con le armi italiane PDF Stampa E-mail

Sito linkiesta  3.10.17

Toccateci tutto, ma non il business delle armi con l'Arabia Saudita

Su spinta del Parlamento europeo, a Montecitorio la maggioranza propone un decreto legislativo per imporre ai sauditi un embargo commerciale. Ma lascia libera la vendita di armi al Paese che dal 2015 conduce una guerra illegittima in Yemen con oltre 10mila morti.

di Carmine Gazzanni

 

Niente da fare: il business armato che lega Italia ed Arabia non si tocca. Certo, il fatto che la coalizione saudita stia conducendo da oltre due anni una guerra illegittima in Yemen che finora ha causato oltre 10mila morti (di cui più della metà civili) e una catastrofe umanitaria che sta devastando il Paese, è un dettaglio di cui non si può non tener conto.

Ma al di là della denuncia a parole, la scorsa settimana il Parlamento ha deciso con un vero e proprio colpo di mano di non fermare la fornitura di bombe ed altro materiale bellico verso Riyad, nonostante la denuncia delle associazioni per il disarmo e nonostante, tra le altre cose, ci sia già da gennaio un rapporto dell’Onu da cui emerge in tutta evidenza che bombe made in Italy siano state sganciate sullo Yemen, anche su «infrastrutture civili».

Ma per capire cosa sia accaduto, facciamo un passo indietro. Il 13 settembre scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui, in virtù delle «gravi violazioni del diritto umanitario», si chiede la «necessità urgente di imporre un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita». Un atto che, peraltro, fa seguito ad altri due precedenti, uno del 26 febbraio 2016 e uno del 15 giugno 2017, dinanzi ai quali però gli Stati membri hanno preferito fare orecchie da mercante.

Ed è qui, allora, che le associazioni pacifiste hanno deciso di presentare una richiesta di mozione affinché il Parlamento italiano recepisse le risoluzioni Ue. Non è un caso che già a luglio siano stati presentati due atti parlamentari, uno a prima firma del capogruppo di Sinistra Italiana-Possibile, Giulio Marcon, e l’altro di Emanuela Corda (M5S), in cui si richiedeva espressamente lo stop alla vendita di armi all’Arabia. Arriviamo, così, a martedì 19 settembre: la maggioranza (e non solo) che fin qui aveva preferito prender tempo, presentano altre mozioni il giorno stesso della votazione, profondamente differenti dato che, pur partendo da premesse simili, non chiedono formalmente alcun embargo rinviando ad un’eventuale decisione internazionale.

Risultato: le mozioni Corda e Marcon sono state bocciate, mentre le altre (presentate da Pd, Forza Italia e Ala-Scelta Civica), più blande e in cui non c’è un esplicito richiamo all’esigenza di interrompere la vendita di armi, sono state approvate. «Dispiace vedere – commenta a Linkiesta Francesco Vignarca, portavoce di Rete Italiana per il Disarmo – che per un argomento del genere, che pure dovrebbe essere molto lontano dal politichese poiché parliamo della vita delle persone, è stato annullato ogni dibattito pubblico, con la presentazione delle mozioni il giorno stesso della votazione, esattamente come accadde anche in occasione degli F-35».

Una modalità, spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal) di Brescia, «tipica di chi non solo intende evitare il confronto con le associazioni della società civile, ma cerca anche di sottrarsi all’esame e alle critiche prima del voto».