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C’è più di una verità da raccontare nella terribile storia di Aleppo

The independent 15 DICEMBRE 2016 1

Di Robert Fisk

14 dicembre 2016

I politici occidentali, gli “esperti” e i giornalisti dovranno rieditare le loro notizie dei prossimi giorni, ora che l’esercito di Bashar al-Assad ha ripreso il controllo della zona est di Aleppo. Scopriremo se i 250.000 civili “intrappolati” nella città erano davvero così numerosi. Sentiremo molte più notizie sul motivo per cui non sono stati in grado di andarsene quando  il governo siriano e l’aviazione russa  organizzavano il loro feroce bombardamento della parte orientale della città.

 

E sapremo molte più cose sui “ribelli” che noi in Occidente – Stati Uniti, Gran Bretagna e i nostri “compagni” tagliatori di teste nel Golfo, abbiamo appoggiato.

Dopo tutto  tra i ribelli ci sono al-Qaida (alias Jabhat al-Nusra, alias Jabhat Fateh al-Sham), la  “gente” – come li chiamava  George W Bush– che hanno commesso i crimini contro l’umanità  a New York, Washington e in  Pennsylvania, l’11 settembre 2001. Ricordate la Guerra al Terrore? Ricordate la  malvagità pura di al-Qaida? Ricordate tutti gli avvertimenti dei nostri  amati servizi di sicurezza del Regno Unito sul fatto che al-Qaida può ancora  seminare terrore a Londra?

Non più, da quando i ribelli, compreso al-Qaida, stavano coraggiosamente difendendo Aleppo Est,  non lo abbiamo fatto perché  un potente racconto di eroismo, democrazia e sofferenza veniva tessuto per noi, una narrazione di  buoni  contro i cattivi  così esplosiva e disonesta come le “armi di distruzione di massa”.

Ai tempi di Saddam Hussein – quando alcuni di noi sostenevano che l’invasione illegale dell’Iraq avrebbe provocato una catastrofe e  sofferenze indicibili, e che Tony Blair e George Bush ci stavano portando sulla strada della perdizione – era obbligatorio per noi, sempre, manifestare la nostra ripugnanza per Saddam e il suo regime. Dovevamo, costantemente, ricordare ai lettori che Saddam era uno dei Tre Pilastri dell’Asse del Male.

E quindi ecco di nuovo il solito mantra, che dobbiamo ripetere fino alla nausea per evitare le solite mail piene di odio e di insulti che oggi saranno  dirette  a chiunque diverga dalla versione approvata e  profondamente sbagliata della tragedia siriana.

Certo,  Bashar al-Assad ha brutalmente distrutto zone delle sue città nella sua battaglia contro coloro che desiderano rovesciare il suo regime. Certo, quel regime ha una quantità di peccati fatti in suo nome: torture, esecuzioni, prigioni segrete, uccisioni di civili, e –se vi includiamo i delinquenti della milizia siriana sotto il controllo nominale del regime –  una versione spaventosa di pulizia etnica.

Sì, dovremmo temere per la vita dei coraggiosi medici della zona orientale di Aleppo e per le persone delle quali si sono presi cura. Chiunque abbia visto il filmato del giovane portato via dall’intelligence del regime siriano dalla fila dei rifugiati in fuga da Aleppo la settimana scorsa, dovrebbe temere per tutti coloro ai quali non è stato permesso di attraversare la linea del fronte decisa dal governo. E ricordiamoci  che l’ONU ha riferito cupamente che gli era stato detto di 82 civili “massacrati “nelle loro case nelle ultime 24 ore.

Ma è ora di dire l’altra verità: molti dei “ribelli” che noi in Occidente abbiamo appoggiato – e che il nostro assurdo  Primo Ministro Theresa May ha indirettamente benedetto quando la settimana scorsa ha strisciato davanti ai tagliagole  del Golfo – sono tra i più crudeli e spietati combattenti in Medio Oriente. E mentre abbiamo espresso disapprovazione per le atrocità dell’Isis durante l’assedio di Mosul (un evento anche troppo simile ad Aleppo, anche se non si penserebbe così leggendo la nostra narrazione della storia), abbiamo ostinatamente ignorato il comportamento dei ribelli di Aleppo.

Soltanto poche settimane fa ho intervistato proprio una delle prime famiglie musulmane fuggite da Aleppo Est durante un cessate il fuoco. Al padre avevano appena detto che suo fratello doveva essere giustiziato dai ribelli perché aveva attraversato la linea del fronte con sua moglie e suo figlio. Aveva condannato i ribelli per avere chiuso le scuole e aver messo le armi vicine agli ospedali. E non era un burattino del favorevole al regime; ammirava perfino l’Isis per il suo buon comportamento nei primi giorni dell’assedio.

Più o meno nello stesso tempo, i soldati siriani mi stavano esprimendo privatamente la loro convinzione che gli Americani avrebbero permesso di nuovo all’Isis di lasciare Mosul per attaccare il regime in Siria. Un generale americano aveva realmente espresso la sua paura che i miliziani sciiti iracheni potessero impedire all’Isis di fuggire in Siria attraverso il confine iracheno.

Ebbene, è andata così. Con tre  enormi colonne di camion   e migliaia di sostenitori armati, l’Isis ha percorso  il  deserto da Mosul, in Iraq, e da Raqqa a Deir ez-Zour nella Siria orientale per  impadronirsi ancora una volta della bella città di Palmira.

E’ molto istruttivo guardare al nostro resoconto di questi due eventi paralleli. Quasi ogni titolo di giornale oggi parla della “caduta di Aleppo nelle mani dell’esercito siriano, quando, in qualsiasi altra circostanza, avremmo sicuramente detto che l’esercito l’aveva “ripresa” ai ribelli – mentre si era riferito che l’Isis aveva “riconquistato” Palmira quando (dato il loro comportamento sanguinario) avremmo dovuto sicuramente annunciare che la città romana era “caduta” ancora una volta sotto il loro dominio mostruoso.

Le parole sono importanti.  Questi sono gli  uomini – i nostri “compagni”, suppongo, se ci atteniamo all’attuale narrativa jihadista – i quali  dopo la loro prima occupazione della città dell’anno scorso hanno decapitato lo studioso di 82 anni che cercava di proteggere i tesori romani, e poi  hanno rimesso gli occhiali sulla sua testa decapitata.

Per loro stessa ammissione, i russi hanno effettuato finora 64 sortite per bombardare i miliziani dell’Isis fuori  Palmira. Ma – date le enormi colonne di polvere sollevate dai convogli dell’Isis – perché l’aviazione americana non si è unita al bombardamento “del loro più grande nemico”? E invece no: per qualche ragione, i satelliti degli Stati Uniti, i droni e la loro intelligence semplicemente non li hanno riconosciuti – non più di quanto avevano fatto quando l’Isis ha condotto le colonne di camion suicidi per impadronirsi di Palmira quando la presero per la prima volta nel maggio del 2015.

Non c’è da dubitare che tipo di ostacolo rappresenti Palmira sia per l’esercito siriano che per i russi, anche se simbolico piuttosto che militare. All’inizio di quest’anno, gli ufficiali siriani mi hanno detto a Palmira, che all’Isis non sarebbe stato più permesso di tornare. C’era una base militare russa nella città. Gli aerei russi volavano sopra le nostre teste. Un’orchestra russa aveva appena suonato tra le rovine romane per festeggiare la liberazione di Palmira

Che cosa è successo, allora? Verosimilmente l’esercito siriano semplicemente non aveva le forze necessarie per difendere Palmira mentre avanzava verso Aleppo Est.

Dovranno riprendersi Palmira, rapidamente. Per Bashar al-Assad, però, la fine dell’assedio di Aleppo significa che l’Isis, al-Nusra, al-Qaida e tutti gli altri gruppi salafisti e i loro alleati non possono più rivendicare una base o creare una capitale, nella lunga serie di grandi città che formano la spina dorsale della Siria: Damasco, Homs, Hama e Aleppo.

Ritorniamo ad Aleppo. La nota  e ora stanca narrazione politico-giornalistica ha bisogno di essere aggiornata. L’evidenza è  chiara da alcuni giorni. Dopo mesi di condanna delle “iniquità” compiute dal regime siriano, mentre veniva nascosta l’identità e la brutalità dei suoi oppositori  ad Aleppo, le Organizzazioni per i diritti umani – fiutando la sconfitta dei “ribelli” – hanno iniziato soltanto pochi giorni fa a diffondere le loro critiche per includervi i “difensori” di Aleppo Est.

Considerate l’Alto Commissariato dell’ONU per i Diritti Umani. Dopo aver avuto, la settimana scorsa, le solite paure perfettamente comprensibili  per la popolazione civile di Aleppo Est e per gli operatori sanitari lì presenti, per i civili soggetti a rappresaglie da parte del governo e per “le centinaia di uomini e donne” che potrebbero essere scomparse dopo aver attraversato la linea del fronte, l’ONU improvvisamente ha espresso altre preoccupazioni.

Ha affermato che “Durante le due settimane passate, il Fronte Fatah al-Sham [in altre parole, al-Qaida] e il Battaglione Abu Amara si presume che abbiano rapito e ucciso un numero ignoto di civili che chiedevano ai gruppi armati di lasciare i loro quartieri, risparmiare la vita dei civili.”

“Abbiamo anche ricevuto rapporti che tra il 30 novembre e il 1° dicembre, gruppi armati dell’opposizione avevano sparato sui civili che tentavano di andarsene.” Inoltre, “attacchi indiscriminati” erano stati condotti su aree con gran numero di civili, sia nella parte occidentale controllata dal governo che in Aleppo Est controllata dai “ribelli”.

Sospetto che sentiremo altre cose dl genere nei prossimi giorni. Il mese prossimo, leggeremo anche un nuovo libro spaventoso, Merchant of Men [Mercanti di uomini] della giornalista italiana Loretta Napoleoni, sul finanziamento della guerra in Siria, elenca rapimenti per ottenere denaro sia dalle forze governative che da quelle ribelli in Siria, ma ha anche parole dure per la nostra professione di giornalismo.

Gli inviati sequestrati dalle guardie armate   nella Siria Orientale, scrive la Napoleoni, “sono rimaste vittime di una specie di sindrome di Hemingway: i giornalisti che appoggiano l’insurrezione si fidano dei ribelli e mettono la loro vita nelle loro mani perché sono alleati con loro .” Ma “la rivolta è soltanto una variazione del jihadismo  criminale, un fenomeno moderno che ha soltanto una lealtà: il denaro.”

E’ troppo severo questo riguardo   alla mia professione? Siamo davvero in combutta con i ribelli?

Certamente i nostri padroni politici lo sono, e per la stessa ragione per cui i ribelli rapiscono le loro vittime: il denaro.  Da questo la  vergogna di Brexit May e la buffonata dei ministri che la settimana scorsa si sono prostrati davanti agli autocrati sunniti che finanziano gli jihadisti della Siria nella speranza si ottenere milioni di sterline con le vendite di armi  al Golfo, dopo la Brexit.

Fra poche ore, il Parlamento britannico deve discutere della brutta situazione dei dottori, delle infermiere, dei bambini feriti e dei civili di Aleppo e di altre zone della Siria. Il comportamento mostruoso del governo del Regno Unito ha assicurato che né i siriani né i russi presteranno la minima attenzione ai nostri pianti pietosi. Anche questo deve diventare parte del racconto.

Robert Fisk scrive per The Independent, dove questo articolo è apparso per la prima volta.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.counterpunch.org/2016/12/14/there-is-more-than-one-truth-to-tell-in-the-terrible-story-of-aleppo

Originale : The Independent

Traduzione di Maria Chiara Starace