Lorenzo Tomatis
- Le cause ambientali del cancro-
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Cancerogeni antichi e nuovi
Fra i vantaggi evidenti della moderna societa’ industriale sono la riduzione della
mortalita’ neonatale e infantile e della mortalita’ per malattie infettive a tutte le eta’ e la
conseguente estensione della speranza di vita. Il principale lato negativo ne e’
rappresentato dall’aumento di malattie cronico-degenerative fra le quali il cancro.
Il progressivo aumento di frequenza di cancro, malattie cerebrovascolari e disordini
neurologici ha quindi coinciso con l’estensione della durata della vita e cambiamenti
nelle abitudini di vita ( la cui importanza varia grandemente in relazione a diverse
condizioni socio economiche) , e con l’aumento in numero e concentrazione di agenti
tossici e cancerogeni nell’ambiente.
Con l’inizio dell’era industriale cancerogeni nuovi vengono immessi nell’ambiente,
mentre aumenta contemporaneamente l’esposizione a cancerogeni antichi. Fra i
cancerogeni antichi sono le radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, le micotossine, certi
prodotti della combustione, e certi virus e parassiti. A questa lista breve dovrebbero
essere aggiunti certi ormoni, formalmente di produzione endogena, ma anche sotto
parziale influenza esogena. I cancerogeni nuovi sono quelli ai quali la specie umana e’
stata esposta da tempi relativamente brevi. Si tratta di composti chimici sintetizzati e
prodotti de novo dall’industria chimica, ma ai quali vanno pure aggiunte sostanze
naturali, e quindi antiche, che si sono diffuse nel nostro ambiente in grandi quantita’ solo
1
dopo lo sfruttamento massivo dei loro reservoirs naturali. Questo e’ il caso dell’amianto e
di certi metalli, come nickel, cromo, cadmio berillio e arsenico. La loro estrazione e
raffinamento e in seguito la manifattura e uso di prodotti dei quali sono componenti
importanti, si sono sviluppati nel corso del diciannovesimo secolo e sono aumentati in
maniera esplosiva nel corso del ventesimo secolo, avendo come conseguenza
l’esposizione ad alte concentrazioni nell’ambiente di lavoro e una loro diffusione
nell’ambiente generale. Questo e’ anche il caso del tabacco dato che la pianta e le sue
foglie sono, per definizione, antichi prodotti naturali. Le sigarette, pero’, e il fumo di
tabacco che ne viene inalato possono difficilmente essere descritti come antichi prodotti
naturali (1).
- L’identificazione di cause ambientali di cancro -
Le prime pubblicazioni che indicano come fattori causali di cancro nell’uomo degli
agenti ambientali risalgono al 1761 quando John Hill ( 2 ) descrive l’associazione fra
tumori del naso e l’uso di tabacco da fiuto, e al 1775 quando Percival Pott nota
l’associazione causale fra esposizione alla fuliggine dei camini e cancro dello scroto negli
spazzacamini ( 3 ). Le osservazioni successive sulle cause ambientali di cancro
nell’uomo sono del secolo seguente e concernono la comparsa di tumori cutanei da
arsenico a seguito dell’uso terapeutico della soluzione di Fowler nel 1888 (4), e l’alta
incidenza di tumori della vescica in lavoratori dei coloranti a base di anilina nel 1895 (5).
Nel 1895 Roentgen ( 6 ) scopre le radiazioni ionizzanti che vengono quasi
immediatemente introdotte nella pratica medica e gia’ sette anni dopo vengono
riconosciute come cause di tumori nell’uomo ( 7,8 ). Le cinque cause ambientali di
cancro che si conoscevano alla fine del XIX secolo rappresentano anche i capifila di
quattro fra le principali categorie di cause di cancro: occupazionali/industriali (fuliggine e
amine aromatiche), voluttuarie o abiti di vita (tabacco), medicinali (arsenico, del quale si
riconoscera’ solo diecine d’anni piu’ tardi il rischio occupazionale), radiazioni (raggi X).
Una ulteriore categoria di cause di cancro, quella degli agenti biologici, si apre con la
dimostrazione di Peyton Rous nel 1911 del ruolo di un agente filtrabile (un virus)
nell’origine di certi tumori nei polli ( 9 ).
2
Nella prima meta’ del secolo scorso numerosi composti chimici e miscele chimiche
vengono identificati come agenti causali di cancro nell’uomo, e diversi processi di
produzione industriale vengono chiaramente indicati come fonti di esposizione a
cancerogeni ( 10-13).
- La cancerogenesi sperimentale e e il valore predittivo dei suoi risultati -
La cancerogenesi sperimentale ha preso l’avvio dagli esperimenti di Yamagiwa e
Ishikawa che per primi riuscirono, nel 1915, a indurre nei conigli tumori della pelle
spennellandola con catrame ( 14 ). Un allievo di Ishikawa, Tsutsui, riusci’ tre anni dopo
, modificando la tecnica, ad indurre tumori della cute nei topi (15 ). La tecnica di Tsutsui
fu poi usata in Inghilterra da Passey che nel 1922 riusci’ ad indurre tumori maligni della
cute dei topi usando un estratto di fuliggine (16 ). I risultati di Passey vennero accolti
come la conferma definitiva delle osservazioni fatte da Pott un secolo e mezzo prima
sulla comparsa di tumori dello scroto negli spazzacamini. Il riconoscimento del valore di
una tale conferma sembrava implicare che le osservazioni cliniche necessitavano, per
essere accettate, di essere confermate sperimentalmente. Nel 1930 viene identificato il
primo cancerogeno chimico ( 1,2,5,6-dibenzantracene), e in seguito vengono isolati dal
catrame altri composti ad `azione cancerogena e altri ancora vengopno sintetizzatti de
novo (17,18).
Prese cosi’ inizio il periodo di predominio della cancerogenesi sperimentale, che si
rafforzo’ ulteriormente per i contributi di Murphy e Sturm (19 ) e di Sasaki e Yoshida
(20 ) che dimostrarono come i cancerogeni potevano esercitare il loro effetto a distanza
dal punto di ingresso nell’organismo, e di quelli di Boyland (21.22 ) e dei Miller (23 ) che
dimostrarono come in molti casi non era il composto come tale ad avere attivita’
cancerogena, ma uno dei suoi derivati dopo la sua attivazione metabolica.
Il predominio della cancerogenesi sperimentale venne indebolito paradossalmente da
uno dei suoi maggiori contributi alla comprensione del processo di cancerogensi. Infatti
dopo aver formulato brillantemente l’ipotesi della cancerogenesi come un processo a
piu’ stadi e multifattoriale (24,25 ), ipotesi che ha subito raccolto ampi consensi, non vi
fu un successivo sviluppo di una metodologia adeguata per identificare i vari fattori
3
implicati nella sequenza di eventi del processo di cancerogenesi.
Un ulteriore attacco alla validita’ predittiva della cancerogenesi chimica sperimentale
tradizionale, e dei saggi a lungo termine di cancerogenesi in particolare,e’ venuto dalla
pretesa incapacita’ di riprodurre e quindi di confermare negli animali da laboratorio
l’evidenza di cancerogenicita’ del fumo di tabacco fornita sin dal 1950 da studi
epidemiologici condotti in Inghilterra e negli SU (26,27). I risultati di studi condotti in
Germania alla fine degli anni 1930 che arrivavano a conclusioni simili, sono stati e sono
tuttora sistematicamente ignorati (28). La prima evidenza della cancerogenicita’ del
catrame e di vari estratti del fumo di tabacco a seguito della loro applicazione sulla cute
dei topi, datava dagli anni ’30 (29 ), ed e’ stata poi confermata ampiamente in seguito
( 30 ). Non si riusciva pero’a indurre tumori polmonari nei roditori esponendoli al fumo
per via inalatoria. Per quanto fosse noto che cio’ era dovuto alla particolare struttura
anatomica delle vie respiratorie superiori dei roditori, l’insuccesso fu usato per screditare
la credibilita’ generale dei saggi sperimentali di cancerogenicita’.
- L’importanza crescente dei dati epidemiologici -
Fu in quel periodo, e cioe’ a meta’ degli anni ’60 che statistici e epidemiologi si
accordarono per definire dei criteri sulla base dei quali un nesso causale per l’origine
delle malattie croniche, come il cancro, potesse reggere sulla sola evidenza
epidemiologica e quindi in maniera indipendente dall’evidenza sperimentale (31).
Negli anni seguenti vi fu una progressione nell’interpretazione dei dati epidemiologici
che, partendo dalla dimostrazione e accettazione che l’evidenza epidemiologica poteva
da sola provare un nesso causale, arrivo’ alla conclusione che soltanto le osservazioni
epidemiologiche, e quindi solo i dati umani, potevano stabilirlo. In tal modo i dati
sperimentali venivano relegati a un ruolo subalterno e considerati di secondaria
importanza. Cio’ nondimeno il valore dei risultati sperimentali non puo’ e non deve
essere sottovalutato, considerando che in un discreto numero di casi l’evidenza
sperimentale di cancerogenicita’ per diversi composti chimici ha preceduto di parecchi
anni l’evidenza epidemiologica, e avrebbe potuto permettere l’adozione di misure in
4
grado di prevenire i tumori umani. Il caso del 4-aminodifenile e’ in questo senso ,
esemplare. Questo composto e’ stato usato negli Stati Uniti fra il 1935 e il 1955, e nel
1952 avrebbe dovuto essere introdotto all’uso in Inghilterrea. Nel 1952 pero’ un saggio a
lungo termine sui ratti aveva dimostrato la sua cancerogenicita’ ( 32 ), confermata in
seguito anche sui cani ( 33 ). Sulla base di questi risultati la produzione e uso del
composto non venne autorizzata in Inghilterra, evitando quindi un’esposizione
occupazionale che fu all’origine di una serie di tumori della vescica che cominciarono a
essere osservati negli Stati Uniti a partire dal 1955 (34 ). In altri casi come, fra gli altri,
quelli del dietilstilbestrolo (DES) (35,36) e del bis-clorometiletere (BCME) ( 37,38) non
aver prestato sufficiente attenzione ai dati sperimentali ha avuto gravi conseguenze sulla
salute degli esposti e ha ritardato di anni o addirittura di decenni la messa in atto di
misure di prevenzione.
E’ importante sottolineare che l’IARC sin dagli anni 1970 raccomanda che “ in
assenza di dati umani adeguati, e’ biologicamente plausibile e prudente considerare
agenti singoli o miscele per le quali vi sia evidenza sufficiente di cancerogenicita’ in
animali da esperimento come se costituissero un rischio cancerogeno per l’uomo”.
L’IARC anticipava in tal modo di molti anni l’introduzione del principio di precauzione,
richiamando l’attenzione sul fatto che, qualora i risultati sperimentali venissero scartati
come incapaci di predire effetti simili nell’uomo, si veniva ad accettare che un potenziale
effetto nocivo di un fattore di rischio ambientale poteva solo essere accertato a posteriori,
dopo cioe’ aver avuto tempo di causare pienamente il suo effetto patogeno nell’uomo. Vi
e’ la tendenza presso una parte degli epidemiologi di garantirsi saldamente nei confronti
della possibilita’ di produrre dati falsamente positivi, mentre la possibilita’ di produrre
dati falsi positivi non sembra angustiarli in egual misura malgrado le gravi conseguenze
che l’esposizione a falsi negativi potrebbe generare.
- I ritardi della prevenzione primaria –
Numerosi sono gli esempi dell’ingiustificabile ritardo con il quale misure di
prevenzione primaria sono state messe in atto. Esemplare e’il caso delle amine
5
aromatiche. Nel 1921 l’International Labour Office (ILO), ad esempio, aveva pubblicato
un rapporto nel quale certe amine aromatiche, in particolare benzidina e 2-naftilamina, la
cui cancerogenicita’ era stata comunque gia segnalata nel 1895, venivano ufficialmente
indicate come cancerogene (39). Malgrado le informazioni fossero piu’ che sufficienti e i
relativi dati scientifici alla portata di chiunque si prendesse la briga di occuparsene, a
parte alcune iniziative limitate, sara’ solo negli anni 1960 che verranno adottate le prime
misure legislative per regolare o proibire la produzione e l’uso di un numero limitato di
composti chimici identificati da tempo come cancerogeni umani (40,41).
Altri esempi di ritardi totalmente ingiustificati sono, fra i tanti, quello nei confronti
del bis-clorometiletere (BCME) e quello, forse il piu’ tragico e con gli effetti piu’ nefasti,
dell’amianto.
- Cause e meccanismi –
L’acquisizione e il raffinamento di tecnologie capaci di analizzare a livello
molecolare i meccanismi sottesi al processo di cancerogenesi ha fatto progredire
considerevolmente la comprensione della serie di eventi che conduce al “point of no
return” della trasformazione neoplastica. Sviluppando e approfondendo l’ipotesi
dell’origine a piu’ stadi e multifattoriale (originalmente a due stadi o “two-stage
hypotesis (24,25), la biologia molecolare ha messo in evidenza il ruolo di mutazioni
multiple, comepure di atgti vazione o inibizione di attivita’ genice, nel conferire un
vantaggio selettivo per la crescita cellulare, fino al sottrarsi ad ogni meccanismo di
controllo. Le mutazioni e le alterazioni di funzione possono riguardare tre classi di geni:
i proto-oncogeni,i geni soppressori e i geni della riparazione del DNA (42). La
progressione dei tumori e’ stata cosi’ definita come l’acquisizione graduale di
caratteristiche di malignita’ che richiedono diversi cambiamenti del genoma a loro volta
favoriti da un’aumentata instabilita’ genomica (43-45).
Il progredire delle conoscenze sui meccanismi molecolari della cancerogenesi potra’
verosimilmente condurre alla possibilita’ di interrompere la catena di eventi che
conferisce alle cellule trasformate le caratteristiche di invasivita’ e di dare metastasi. Si
aprono in tal modo le prospettive di sostanziali miglioramenti diagnostici, soprattutto
6
delle diagnosi precoci , e terapeutici. Da un periodo nel quale le cause di cancro venivano
identificate attraverso i dati sperimentali ed epidemiologici , pur nella scarsa
comprensione dei meccanismi sottesi, siamo passati a un periodo nel quale la
comprensione dei meccanismi progredisce rapidamente, senza pero’ contribuire
all’identificazione di nuovi agenti cancerogeni o alla definizione di una nuova strategia
di prevenzione primaria. La serie di eventi che sfocia nella crescita neoplastica ha
tuttavia delle cause e un’azione preventiva che miri a evitare di esserne esposti o a
ridurne drasticamnete l’esposizione rimane tuttora la via piu’ efficace per ridurre la
morbilita’ e la mortalita’ per cancro.
- Le classificazioni dei cancerogeni ambientali –
Sono state proposte in passato diverse liste di cancerogeni per l’uomo. Le piu’ note e
autorevoli sono quella pubblicata da Hueper & Conway nel 1964 (10) che includeva 17
composti o gruppi di composti chimici, e quella che si puo’ estarre da un Technical
report della WHO, pure del 1964 (46 ) e che comprendeva 16 agenti cancerogeni per
l’uomo.
Attualmente le piu’ credibili liste degli agenti ambientali cancerogeni per l’uomo
sono quelle che si possono costruire sui dati forniti dal National Toxicology Program
(NTP) americano (47), e soprattutto dall’International Agency for Research on Cancer
(IARC).
A tuttoggi l’IARC riconosce come cancerogeni umani (Gruppo 1 nella classificazione
dell’IARC) 88 fra singoli agenti ambientali, miscele ed esposizioni lavorative complesse
(Tabella 1). L’IARC riconosce inoltre 64 agenti ambientali come probabili
cancerogeni umani (Gruppo 2A nella classificazione dell’IARC) (Tabella 2), e 236 come
possibili cancerogeni umani (Gruppo 2B dell’IARC) ( Tabella 3). Il National Toxicology
Program del National Institute of Environmental Health Sciences, nel suo decimo
rapporto sui cancerogeni (47) riconosce 48 agenti ambientali come cancerogeni umani e
7
163 come probabili cancerogeni umani (reasonably expected to be human carcinogens).
I criteri seguiti dal NTP per assegnare un agente a una delle due categorie sono molto
simili a quelli adottati dall’IARC per assegnareun agente al gruppo 1 o al gruppo 2. La
differenza nel numero totale di cancerogeni umani riconosciuti o probabili cancerogeni
umani non e’ dovuto a differenti criteri di valutazione, che sono in realta’ molto simili ,
ma al fatto che il programma americano, essendo cominciato dodici anni dopo il
programma dell’IARC, non ha avuto materialmente il tempo di prendere in
considerazione lo stesso numero di agenti ambientali.
I criteri che l’IARC ha adottato per includere un agente nei tre gruppi indicati qui
sopra, sono stati elaborati negli anni 1970, e successivamente riconsiderati. Attualmente
(48 ) sono i seguenti:
- Gruppo 1: L’AGENTE O MISCELA O ESPOSIZIONE COMPLESSA E’
CANCEROGENA PER LUOMO.
Evidenza sufficiente di cancerogenicita’ nell’uomo. Eccezionalmente puo’ entrare in
questo gruppo un agente, miscela o esposizione complessa anche quando non vi sia
evidenza sufficiente di cancerogenicita’ nell’uomo, ma vi sia evidenza sufficiente
di cancerogenicita’ negli animali da esperimento e una forte evidenza che l’agente o la
miscela agisce negli individui esposti con un meccanismo di cancerogenicita’ rilevante
(through a relevant mechanism of carcinogenicity).-
-Gruppo 2A: L’AGENTE O MISCELA O ESPOSIZIONE COMPLESSA E’
PROBABILMENTE CANCEROGENA PER L’UOMO.
Questa categoria e’ usata quando vi e’ evidenza limitata di cancerogenicita’ nell’uomo ed
evidenza sufficiente di cancerogenicita’ negli animali da esperimento. In certi casi un
agente o miscela o esposizione complessa puo’ essere assegnata a questa categoria
quando vi e’ un’evidenza inadeguata di cancerogenicita’ nell’uomo, evidenza sufficiente
di cancerogenicita’ negli animali da esperimento e una forte evidenza che la
cancerogenesi e’ mediata da un meccanismo che opera anche nell’uomo.
Eccezionalmente un agente o miscela o esposizione complessa puo’ essere classificato in
questa categoria sulla sola base di una evidenza limitata di cancerogenicita’ nell’uomo.
8
- Gruppo 2B : L’ AGENTE O MISCELA O ESPOSIZIONE COMPLESSA E’
POSSIBILMENTE CANCEROGENA PER L’UOMO.
Questa categoria e’ usata per agenti o miscele o esposizioni complesse per le quali vi e’
evidenza limitata di cancerogenicita’ nell’uomo e un’evidenza di cancerogenicita’meno
che sufficiente negli animali da esperimento. Puo’ anche essere usata quando vi e’
evidenza inadeguata di cancerogenicita’ nell’uomo, ma vi e’ evidenza sufficiente di
cancerogenicita’ negli animali da esperimento. In taluni casi puo’ essere incluso in
questo gruppo un agente o miscela o esposizione complessa per il quale vi e’ evidenza
inadeguata di cancerogenicita’ nell’uomo, ma evidenza limitata di cancerogenicita’ negli
verosimilmente condurre alla possibilita’ di interrompere la catena di eventi che
conferisce alle cellule trasformate le caretteristiche di invasivita’ e ’ di dare metastasi. Si
aprono in tal modo le prospettive di sostanziali miglioramenti diagnostici, soprattutto
delle diagnosi precoci, e terapeutici. Da un periodo nel quale le cause di cancro
venivano identificate attraverso i dati sperimentali ed epidemiologici, pur nella scarsa
compr animali da esperimento insieme all’evidenza di sostegno di altri dati rilevanti.
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11
AMIANTO
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L’ amianto e’ noto, ed e’ stato usato, da tempi antichi. I primi reperti che ne
indicano il suo uso risalgono a piu’ di 2000 anni avanti Cristo. I romani come pure i
vichinghi sapevano tesserlo e del suo uso fanno menzione Erodoto e Plinio (1), e non era
ignoto in Asia, dato che Marco Polo riferiva infatti che nelle province del nord della
Cina veniva tessuto un panno con una fibra minerale estratta dalla terra (2). Anche i
pericoli legati all’esposizione all’amianto erano noti dai tempi antichi. Pur senza
conoscere la natura della lesione indotta o il meccanismo di induzione dei problemi
respiratori che ne derivavano, gli effetti nefasti dell’inalazione delle fibre di amianto
erano tanto evidenti da non poter essere ignorati. Plinio scrive che gli schiavi che
lavoravano l’amianto portavano una sorta di mascherina per limitare l’inalazione della
polvere ( 3).
12
Nel diciassettesimo secolo in Italia veniva usato per fare tipi speciali di carta e tessuti
incombustibili. Nel 1827 il cavaliere bolognese Giovanni Aldini, professore di fisica
nipote di Galvani, persuase un tessitore di Lione di fare un tessuto a base di amianto con
il quale confezionare un vestito protettivo contro il fuoco ( 4). Il vestito venne presentato
pubblicamente nel 1827 a Milano e successivamente in diverse capitali europee.
La produzione commerciale di amianto inizia attorno alla meta’ dell’800 e si espande
con la scoperta e lo sfruttamento dei giacimenti canadesi fra il 1876 e il 1878. In Russia
lo sfruttameneto commerciale dei giacimenti inizia nel 1985 e in Sudafrica nel 1906. In
Italia la prima miniera commerciale di amianto venne aperta nel 1870 in Piemonte. Nel
1874 nasce la Italo-English Pure Asbestos Company la cui iniziale fortuna viene presto
oscurata dalla scoperta dell’amianto nel Quebec. La produzione italiana passa da 20.000
tonnellate annue nel 1942, a 40.000 nel 1960 , per arrivare nel 1970 a 130.000
tonnellate, ossia il 3-4% della produzione mondiale.
All’inizio del ‘900 inizia in Italia la produzione industriale di tubature di cemento
amianto che poco dopo prende piede anche negli Stati Uniti. Nel 1906 l’amianto viene
impiegato per la prima volta nei sistemi di frenatura e nel 1931 si diffonde, a partire
dall’Inghilterra, la tecnica di applicazione a spruzzo dell’amianto (1).
Il forte incremento alla produzione di amianto ha preso inizio durante la prima
guerra mondiale ed e’ poi continuato fino ad epoca recente. Nel 1960 la produzione
mondiale di amianto era di oltre 2 milioni di tonnellate annue e nel 1976 di oltre cinque
milioni ( 1,5), delle quali il 29% e il 44% erano prodotti rispettivamente da Canada e
URSS. Gli altri paesi produttori sono, o erano, il Sud Africa, la Rodesia (Zimbawe), la
13
Cina, l’Italia e gli SU. Sono stati identificati 3000 usi diversi per l’amianto ( 5), ma le
costruzioni a base di cemento-amianto hanno da se’ sole assorbito il 70% della
produzione mondiale..
I primi resoconti ufficiali sugli effetti nocivi dell’amianto affiorano in Inghilterra dove
l’amianto viene incluso nel 1902 fra le polveri note per essere dannose all’uomo ( 1), in
Francia dove nel 1906 viene segnalato un eccesso di morti fra i filatori e i tessitori di
amianto ( 6 ), e in Italia dove nel 1908 vengono descritti trenta casi di morte di lavoratori
delle cave di amianto per malattia polmonare grave, diagnosticata come tubercolosi di
tipo particolarmente severo e rapidamente progressiva ( 7). Per lungo tempo l’attenzione
dei patologi e medici sara’ puntata sull’abbinamento tubercolosi – asbestosi,
interpretando l’asbestosi principalmente come fattore aggravante della tubercolosi.
Nel 1924 viene descritto un tipo particolare di fibrosi polmonare dovuta alle fibre di
amianto alla quale nel 1927 fu per la prima volta attribuita il nome di asbestosis (8,9), e il
Medical Inspector of Factories in Inghilterra presenta nel 1930 al parlamento un rapporto
nel quale viene denunciato che l‘inalazione di amianto e’ all’origine di un grave tipo di
fibrosi. La soppressione della polvere viene riconosciuto a livello ufficiale come il
miglior rimedio ai danni casuati dall’amianto (10), ma produzione e uso delle fibre
continuano indisturbati senza che vengano prese misure di protezione per gli esposti. Da
parte italiana una serie di casi di asbestosi venne descritta da Lovisetto e da Mussa
(11,12) e poi presentata al Congresso Internazionale di Johannesbrug del 1930 (13),
mentre nel 1939 Mottura pubblica uno studio approfondito sulla patogenesi dell’asbestosi
(14).
14
L’associazione con il carcinoma polmonare viene descritta per la prima volta nel
1935 negli SU ( 15) e in Inghilterra (16). Il carcinoma polmonare negli esposti
all’amianto viene descritto per la prima volta come malattia professionale in Germania
gia’ nel 1938 (17), e nel 1941 viene pubblicata la prima parziale conferma sperimentale
dell’induzione di tumori polmonari con amianto (18), ed e’ infine in Germania che nel
1942 il carcinoma polmonare associato ad asbestosi viene riconosciuto ufficialmente
come malattia professionale indennizzabile (19).
Rapporti isolati di casi di tumore della pleura comparvero negli anni’30 e ’40, e nel
1931 venne proposto il termine mesotelioma. L’associazione fra asbestosi e mesotelioma
della pleura e del peritoneo viene menzionata ripetutamente in diverse pubblicazioni alla
fine degli anni’40 e inizio degli anni ’50, sulla base delle quali si sarebbe gia’ potuto
stabilire come definitivamente provata la relazione causale fra esposizione ad amianto e
mesotelioma. Generalmente si ascrive pero’ a Chris Wagner il merito di averne fornito la
prova inoppugnabile. Wagner descrive 33 casi di mesotelioma, confermati
istologicamente, dei quali 28 si erano manifestati in minatori esposti a crocidolite e 5 in
lavoratori esposti nell’industria manufatturiera dell’amianto (20). Nel 1962 pubblica i
dati sull’induzione sperimentale di mesotelioni nei ratti ( 21) e nel 1965 descrive 87 casi
di mesoteliomi osservati a partire dal 1953 (22). Solo una parte di questi si era
manifestata in lavoratori con documentata esposizione professionale, mentre piu’ della
meta’ dei casi riguardava individui che vivevano nelle vicinanze delle miniere o
dell’industria manifatturiera dell’amianto. L’amianto quindi, oltre a rappresentare un
grave pericolo nell’ambiente di lavoro, costituiva un pericolo anche nell’ambiente
15
generale, dove la concentrazione di fibre d’amianto e’ molto piu’ bassa che
nell’ambiente di lavoro. La relazione causale che esiste per la grande maggioranza dei
mesoteliomi maligni non e’ quindi obbligatoriameante legata a un’asbestosi di origine
occupazionale, ma puo’ essere determinata sia da un’ esposizione a concentrazioni
relativamente basse di amianto che da un ‘esposizione all’amianto anche al di fuori
dell’ambiente di lavoro.
Vigliani, Mottura e Maranzana pubblicano nel 1965 uno studio su 879 casi di
asbestosi in Piemonte e Lombardia. Fra i 172 deceduti di questo gruppo, vengono
identificati 15 casi di carcinoma polmonare e 3 casi mesoteliomna, ai quali si devono
aggiungere un caso di carcinoma polmonare e 2 casi di mesotelioma ancora viventi (23).
Nel 1976 un gruppo di lavoro dell’IARC dichiara che vi e’ sufficiente evidenza
sperimentale di cancerogenicita’ per l’amianto in tutte le sue forme commerciali, e che
crocidolite,crisotilo,amosite, antofillite, tremolite misto a antofillite e crisotilo sono tutte
forme di amianto cancerogene per l’uomo. I tumori indotti sono soprattutto carcinomi
polmonari e mesotelioni della pleura e peritoneo, ma anche tumori del tratto
gastrointestinale e della laringe. Nella Monografia dell’IARC, pubblicata l’anno seguente
(5) e’ affermato che non e’ possible stabilire se esista un livello di esposizione per l’uomo
al di sotto del quale non si verifichi un aumento di rischio di cancro, non e’ possible cioe’
stabilire un valore di soglia al di sotto del quale l’esposizione ad amianto possa essere
considerata innocua.
Per decenni si sono susseguiti gli sforzi concertati e ben orchestrati delle industrie
16
produttrici e manifatturiere di amianto per sopprimere, modificare o occultare qualunque
evidenza dei rischi conseguenti all’esposizione alle fibre, usando tutti i mezzi a
disposizione, dalla corruzione, alle minacce, alla frode scientifica (1,3,24-27) Malgrado
la relazione causale fra amianto e tumori fosse nota a partire dagli anni 1930, fosse stata
confermata negli anni 1940, prima per il carcinoma polmonare poi per i mesoteliomi, e
ancor piu’ ampiamente documentata negli anni 1950 (25,27), produzione, usi e diffusione
dell’amianto hanno continuato ad aumentare senza che venissero messe in atto adeguate
misure di protezione. Negli US, ad esempio, malgrado il vasto consenso scientifico sulla
relazione causale amianto-tumori, i primi limiti ufficiali alla concentrazione di fibre
d’amianto venivano adottati a partire dal 1970 ( limitazioni volontarie e non vincolanti
esistevano gia’ in alcune industrie dalla fine degli anni ’60) . Si trattava comunque di
concentrazioni troppo alte che non garantivano l’incolumita’ degli esposti ( 1). Nel 1989
l’EPA metteva a punto un regolamento per bandire totalmente l’amianto, ma con una
piroetta legale le industrie interessate sono riuscite a limitare l’applicazione del
regolamento agli usi nuovi dell’amianto, ottenendo cosi’, per ora, che l’amianto possa
continuare a venir impiegato per gli usi gia’ noti. La maniera con la quale l’evidenza sia
sperimentale che epidemiologica della cancerogenicita’ dell’amianto nelle sue varie
forme e’ stata manipolata, fornisce la dimostrazione esemplare, anche se di certo non
unica, della abilita’ di chi detiene il potere economico nel sopprimere o controllare la
diffusione dell’informazione scientifica, e nel reclutare ai propri fini medici e ricercatori
disposti a servirli (28).
Un triste e tragico esempio delle gravi conseguenze legate al ritardo nel riconoscere
l’esistenza di un rischio e nell’adottare misure di protezione, e’ quello di Wittenoon (29).
17
In questa localita’ del nord-ovest dell’Australia, dove negli anni 1930 era stato scoperto
un giacimento di amianto (crocidolite), dopo la seconda guerra mondiale erano affluiti
numerosi emigranti italiani( erano attorno al 16% dei minatori), per lo piu’ addetti ai
lavori piu’ ingrati (30,31). Le condizioni di lavoro erano particolarmente pesanti e non
presupponevano alcuna protezione, ispirate com’erano al massimo sfruttamento, i
lavoratori e le loro famiglie abitavano poco lontano dalle miniere in un ambiente
fortemente inquinato e dove, per di piu’, le strade erano pavimentate con amianto. La
miniera di Wittenoon e’stata chiusa nel 1966, ma sia nei lavoratori che nei membri delle
loro famiglie e in coloro che pur non lavorando alla miniera risiedevano nelle sue
vicinanze, la mortalita’ per asbestosi , carcinoma polmonare e mesoteliomi gia’ ora
molto alta, e’ destinata inevitabilmente ad aumentare ulteriormente nei prossimi due
decenni (32,33).
Le proiezioni della mortalita’ per mesotelioma in Inghilterra (34) e in altri paesi
europei, prevedono un continuo aumento nei prossimi ventanni (35) mentre continuera’
anche ad aumentare la mortalita’ per carcinoma polmonare. Malgrado l’evidenza piu’
che convincente della relazione causale fra esposizione all’amianto e mesotelioma
maligno, solo su una parte dei mesoteliomi viene fatta generalmente un’indagine sulla
loro possible relazione con un’ esposizione all’amianto, sia professionale o accidentale
.L’underreporting dei mesoteliomi come tumori occupazionali e aventi diritto a
compensazione e’ comune a molti paesi (36).
Nel periodo 1970-1994 il tasso annuo di mortalita’ per mesotelioma maligno e’
passato in Italia da 0.8 per 100.000 a 1.29 per 100.000, mentre il numero dei morti per
18
mesoteliomi e’ passato da 375 a 998. A livello europeo l’Italia si colloca al quarto posto
per mortalita’ per mesotelioma maligno nei maschi e al primo nelle femmine (37). Nel
1991 con il D.L.n.277 l’Italia ha infine dato seguito alla direttiva CEE del 1983 n.477
sull’amianto e ha istituito presso l’ISPESL un registro dei casi accertati di asbestosi e di
mesotelioma correlati con esposizione all’amianto. Il primo rapporto del Registro
Nazionale dei Mesoteliomi e’ stato pubblicato nel 2001 (38). Da tale rapporto risulta che
nel periodo 1993-1996 sono stati segnalati e registrati 991 casi di mesotelioma dei quali
747 con sede pleurica. L’eta’ media dei casi era di anni 64.5 con il 43.3% dei casi di eta’
inferiore ai 65 anni. Il mesotelioma maligno e’ stato incluso nella lista delle malattie
professionali nel giugno 1994 (Decreto Presidenziale n.336/1994) e viene cosi’ infine
riconosciuta officialmente, con un ritardo difficilmente giustificabile, la sua
indennizzabilita’ anche in assenza di asbestosi.
In Italia il caso piu’ noto di esposizione sia professionale che non occupazionale
e’quello di Casale Monferrato. Oltre all’eccesso significativo di morti per carcinoma
polmonare, asbestosi e mesoteliomi dei lavoratori nei lavoratori della fabrica di cementoamianto
(Eternit) (39), sono stati segnalati dapprima casi di mesoteliomi nelle mogli dei
lavoratori della fabbrica di amianto-cemento ( 40) e poi di mesoteliomi nella
popolazione non esposta per ragioni di lavoro, ma residente a Casale, cioe’ a non
grande distanza dalle fabbriche ( 41,42). Risultati simili sono emersi da uno studio
multicentrico in tre diversi paesi (43): abitare a meno di 2km dalla fabbrica di amianto
comporta un rischio considerevolmente elevato di mesotelioma, ma un aumento di
rischio e’ tuttora evidente nei residenti fino a 5 Km dalla fabbrica.
Si ritiene che l’eccesso di carcinoma polmonare negli esposti ad amianto per ragioni
19
occupazionali, sia tra una volta e mezzo e tre volte quella per mesotelioma (44). Da uno
studio approfondito sul ruolo dell’amianto come causa di tumore polmonare, basato sulla
rigorosa verifica anatomo-patologica di ogni singolo caso preso in esame, risulta inoltre
che intorno al 6% di tutti i casi di tumore polmonare in una serie di casi non selezionati,
e’ attribuibile all’amianto. In diversi di questi casi la presenza di corpuscoli di amianto
coesisteva con una fibrosi interstiziale di varia entita’ che ha potuto essere messa in
evidenza solo da una ricerca accurata che ha permesso giunge re alla diagnosi
istopatologica di asbestosi. (45). In particolare la presenza di corpuscoli dell’asbesto
poteva spesso essere messa in evidenza nel tessuto digerito ( anche in concentrazioni
superiori a quella di 1000 corpuscoli per grammo secco, comunemente considerata come
attendibile indicatore di esposizione di tipo professionale) senza che necessariamente
questi fossero evidenti sulla comune sezione istologica. A livello nazionale il 6% dei
tumori polmonari attribuibili a un’esposizione ad amianto sulla base della dimostrazione
istologica, significa circa 2000 casi all’anno (45). Una percentuale simile, e cioe’ del 5%
e del 5,7% di tutti i tumori polmonari e’ ritenuta attribuibile, su base epidemiologica, a
un ‘ esposizione non riconosciuta come occupazionale all’amianto, rispettivamente negli
Stati Uniti e in Scozia,. Gli studi piu’ recenti concordano sul fatto che la presenza di
asbestosi non sia una condizione necessaria per validare la relazione causale tra amianto
e carcinoma polmonare (46,47).
Lo studio di Mollo (45) conferma con autorevolezza quanto gia’ era stato sostenuto in
passato (48), e cioe’ che il carcinoma polmonare puo’ essere considerato conseguente a
un’esposizione ad amianto in assenza di asbestosi messa in evidenza radiologicamente o
istologicamente. Lo studio di Mollo dimostra inoltre chiaramente che una ricerca
20
approfondita e sistematica e’ in grado di mettere in evidenza una fibrosi iniziale o
un’asbestosi minima, verosimilmente conseguente all’esposizione a basse concentrazioni
di amianto. Viene cosi’ ad essere ulteriormente confermato quanto affermato nella
monografia dell’IARC del 1977 (5), che non e’ possibile stabilire un livello di
esposizione all’amianto che possa essere considerato orivo di rischio oncogeno o
innocuo.
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23
- DIBENZO-PARA- DIOSSINE POLICLORURATE
(Polychlorinated Dibenzo-para-dioxins – PCDD’S )–
------------------------------------
Le diossine (PCDD’s) possono originare da diverse reazioni : a) chimiche,
b) termiche, c) fotochimiche e d) biochimiche (1).
a) PCDD’s, e principalmente 2,3,7,8-TCDD, possono formarsi durante la produzione
di 2,4,5-triclorofenolo (TCP) da 1,2,4,5 –tetraclorobenzene durante la produzione
dell’erbicida 2,4,5-T. La concentrazione di 2,3.7,8-TCDD nell’erbicida Agent Orange
usato negli US e in Viet Nam, che e’ una miscela in parti eguali degli esteri butilici di
2,4,5-T e 2,4-D, variava da 0.02 a 47 mg/kg, ma poteva arrivare fino a 100mg/kg (1).
Concentrazioni minori sono state riscontrate nei paesi scandinavi, in Finlandia e in
Nuova Zelanda. L’uso massiccio di Agent Orange in Viet Nam e’ stato all’origine di
un’esposizione diffusa a diossina della popolazione vietnamita, e in minor misura di
parte del personale militare americano. I livelli serici di 2,3,7,8-TCDD nei militari
americani variava da 6,6ng/kg a 23.6 ng/kg. I livelli di diossina nel tessuto adiposo di
individui del Viet Nam del sud arrivavano fino a 103/ ng/kg, mentre i livelli misurati in
24
individui del Viet Nam del nord erano di 2,9 ng/kg o inferiori. Quantita’ preoccupanti di
diossina sono tuttora presenti nel suolo delle zone irrorate durante la guerra.
Diverse diossine sono presenti nei vari clorofenoli usati come insetticidi, fungicidi o
antisettici e per molteplici altri usi fra i quali la produzione di polpa di legno, la concia
delle pelli e la produzione di certe colle. Le concentrazioni riscontrate alla fine degli anni
1970 variavano da 0,1 a oltre 500 mg/kg. Diossine e dibenzofurani sono presenti negli
erbicidi a base di difeniletere, nel fungicida exaclorobenzene, nella polpa di legno
scolorata con il cloro e in diversi coloranti.
Diossine e dibenzofurani vengono anche formati durante la produzione di cloruro di
vinile da cracking del 1,2-dicloroetano. La sostituzione degli anodi di grafite con quelli
metallici ha diminuito, ma non eliminato la formazione di diossine durante la produzione
di cloro.
b) Dibenzo-para-diossine e dibenzofurani sono stati riscontrati nelle ceneri degli
inceneritori a livelli che variavano da 0,2 mg/kg a 0,6 mg/kg. Le diossine possono essere
in gran parte distrutte se mantenute per un tempo adeguato a temperature superiori agli
800 C. Livelli di 2,3,7,8-TCDD che variavano fra 0,1 ng/m3 e 7,5 ng/m3 sono stati
comunque riscontrati nelle ceneri di inceneritori capaci di usare temperature elevate.
Teoricamente i livelli di emissione potrebbero essere abbassati fino a 0,01 ng/m3 con
l’adozione di tecnologie avanzate per assicurare la distruzione delle diossine. In pratica
pero’ cio’ avviene raramente. Per quanto riguarda l’inceneritore di Mantova che e’ del
1973, l’ammodernamento al quale e’ stato sottoposto, riguardava soprattutto la sdla
quadri, ma non l’impianto La direttiva emanata dall’Unione Europea che propone un
limite massimo di emissione di 0,1ng I-TEQ (toxic equivalent) per m3, se rispettata,
25
garantisce una diminuzione delle emissioni di diossine, ma non la loro eliminazione.
Livelli minori sono stati riscontrati nelle emissioni di inceneritori di fanghi fognari,
mentre livelli notevolmente superiori sono stati riscontrati nelle e missioni di inceneritori
di rifiuti ospedalieri. Diossine possono originare dall’incinerimento di policloruro di
vinile, di frammenti legno e di rifiuti domestici. Piccole quantita’ di diossine sono anche
presenti nei gas di scarico degli automobili.
c) e d) Sono state descritte diverse reazioni fotochimiche di composti clorurati che
possono dare origine a diossine, come pure reazioni ossidative che possono trasformare
fenoli clorurati in diossine.
IL primo episodio documentato, sia pure in gran parte retrospettivamente, di
esposizione ad alte concentrazioni diossina, risale al 1953 a seguito di un incidente
occorso in uno stabilimento della BASF a Ludwigshafen in Germania. Una reazione
incontrollata di decomposizione durante la produzione di TCP, aveva dato origine a una
notevole quantita’ di 2,3,7,8-TCDD che era fuoriuscita e aveva contaminato una zona
dello stabilimento. I livelli di TCDD nel sangue di lavoratori, soprattuto di quelli
coinvolti nel processo di decontaminazione dello stabilimento, misurati a piu’ di trentanni
di distanza dall’incidente, variavano da 148 ng/kg fino a 1118 ng/kg nei casi di cloracne.
Sempre in Germania, livelli ematici di diossina fino a 400 ng/kg sono stati constatati al di
fuori di eventi accidentali, in lavoratori addetti alla produzione di clorofenoli, ma
osservazioni simili sono state fatte in molti altri paesi.
L’incidente industriale piu’ grave e’ stato quello di Seveso nel 1976 a seguito
26
dell’esplosione di un reattore per la produzione di TCP. La quantita’ di 2,3,7,8-TCDD
fuoriuscita e’ stata valutata dell’ordine di diversi chilogrammi. Nella zona piu’
contaminata, denominata zona A, che comprendeva 87 ettari, le concentrazioni di
diossina nel terreno variavano fra 15,5 ug/ e 580 ug/per metro quadro. Nella zona B che
si estendeva su 270 ettari i livelli di diossina nel suolo non superavano in media i
50ug/metro quadro, mentre nella zona ` di 1430 ettari i livelli nel suolo erano
generalmente inferiori a 5ug/metro quadro. Le concentrazioni di TCDD nel sangue in
individui della zona A piu’ prossima allo stabilimento variavano, al tempo dell’incidente,
fra 825/ng/kg a 56.000 ng/kg. Analisi fatte ventanni dopo l’incidente danno valori attorno
ai 70 ng/kg in individui scelti a caso della zona A e12.5 ng/kg in individui della zona B.
Dibenzodiossine e dibenzofurani sono presenti a livelli in genere molto bassi
nell’aria, acqua, suolo e vari cibi., e cio’ comporta la possibilita’ di un’esposizione di
base a minime concentrazioni. Nell’aria sono state registrate concentrazioni che
oscillavano fra 0.040 pg/m3 e 0.140 pg/m3, a seconda che si trattava di un ambiente
rurale e di un ambiente con insediamenti industriali.
---------------------------
La TCDD ( 2,3,7,8-tetraclorodibenzo (b,e)[1,4]diossina) e’ considerata come
cancerogena per l’uomo sia dall’IARC (1) che dal National Toxicology Program (2)
sulla base dei dati epidemiologici e sperimentali e di considerazioni sui meccanismi
d’azione, con riferimento particolare ai recettori Ah (aryl hydrocarbon) proteine
27
intracellulari ubiquitarie con compiti di regolazione di diverse funzioni biochimiche: il
grado di affinita’ della diossina per questi recettori e’ simile nei roditori e nell’uomo, e vi
e’ una discreta evidenza sperimentale che l’effetto cancerogeno sia mediato da questi
recettori. Le concentrazioni di diossina nei tessuti di animali sperimentali esposti a dosi
di diossina che causano tumori, sono dello stesso ordine di grandezza di quelli riscontrati
in tessuti di individui esposti a concentrazioni elevate di diossina e nei quali e’ stato
osservato un aumento di rischio di cancro. Va notato inoltre che la emivita della diossina
nei tessuti dei roditori e’ di 10 a 30 giorni, mentre e’ di 5.8 a 11.3 anni nei tessuti umani.
La diossina a seguito di esposizioni croniche a basse dosi finisce percio’ per accumularsi
nei tessuti umani a un tasso superiore che negli animali sperimentali. Per tale ragione e’
piu’ che plausibile che nell’uomo si verifichino effetti a lungo termine della diossina
dopo esposizioni prolungate a concentrazioni piu’ basse di quelle necessarie per indurre
effetti analoghi nei roditori (2).
L’evidenza di cancerogenicita’ per gran parte dei cancerogeni umani finora accertati
si fonda principalmente sull’aumento di rischio per tumore in una o alcune sedi
particolari, ma agenti cancerogeni come il fumo di tabacco e le radiazioni ionizzanti
causano tumori in molte sedi, e altri, come l’amianto, inducono tumori in organi diversi.
La molteplicita’ degli organi bersaglio da parte di molti cancerogeni ha una solida
conferma sperimentale. L’evidenza epidemiologica di cancerogenicita’ della diossina si
basa sull’aumento di incidenza e mortalita’ per tumori in alcuni organi, ma soprattutto su
un aumento di incidenza e mortalita’ per tutti i tumori. Questo aumento generalizzato e’
ben osservabile nella progressione dell’andamento di incidenza e mortalita’ per tumore
osservato nella coorte di Seveso con il passare degli anni dal tempo dell’incidente (3-6).
28
Mentre nelle rilevazioni fatte fino a dieci anni dall’incidente di Seveso si
osservavano aumenti di incidenza/ mortalita’ per alcune sedi e non per altre con il
risultato che nel suo insieme la mortalita’ per tutte le sedi non era diversa dall’attesa
( l’aumento in alcune sedi era cioe’ bilanciato da un casuale deficit in altre come puo’
accadere normalmente), un aumento significativo della mortalita’ per tutti tumori e’ stato
osservato nei maschi 15 anni dopo l’incidente ( 6), il che sta a significare che possibili
deficit in alcune sedi non sono piu’ sufficienti per diluire l’evidenza di un effetto
cancerogeno della diossina e per metterla quindi in dubbio.
Nei maschi l’aumento della mortalita’ riguarda i tumori del polmone, del retto, i
linfomi di Hodgkin, i linfomi non-Hodgkin, la leucemia mieloide e il mieloma multiplo.
Aumenti statisticamente non significativi sono stati registrati anche per i tumori dello
stomaco, del colon e del rene. Nelle femmine, mentre non appare aumentata la mortalita’
per tutti i tumori, e’ aumentata in maniera significativa la mortalita’ per tumori del
sistema emolinfopoietico (in particolare il linfoma non Hodgkin,il mieloma multiplo e la
leucemia mieloide). Uno studio piu’ recente ha messo in evidenza un aumento di
incidenza statisticamente significativo di tumore mammario in donne delle zone A e B di
Seveso che avevano un’eta’ inferiore ai 40 anni al tempo dell’incidente. L’aumento che,
malgrado i piccoli numeri , depone per un effetto dose risposta, ha cominciato a rendersi
manifesto a distanza di 15-20 anni dall’incidente ed e’ presumibile che diventi piu’
cospicuo nei prossimi anni (7).
Un aumento di mortalita’ per sarcomi dei tessuti molli e per linfomi non-Hodgkin e’
stato osservato sia nei maschi nelle femmine fra gli esposti a erbicidi clorofenolici
contaminati con diossina (8-11)). Un aumento statisticamente significativo di sarcomi
29
dei tessuti molli e’ stato inoltre osservato fra i residenti nel raggio di 2Km da un
incineritore di residui industriali ed esposti presumibilmente a diossina (12,13). E’ stata
confermata recentemente l’associazione fra l’esposizione all’ Agent Orange contaminato
da TCDD e un eccesso di leucemia linfatica cronica(14)
Il rischio relativo della mortalita’ per tumore in tutte le sedi osservato nei maschi
della coorte di Seveso dopo oltre 15 anni dall’incidente (RR:1.3) (6), e’ simile a quello
osservato nello studio multicentrico coordinato dall’IARC e condotto in dodici paesi su
lavoratori esposti a erbicidi, clorofenoli e diossine (15). I risultati di due studi di coorte in
Germania, uno in Olanda e uno negli Stati Uniti sono concordi nel dimostrare un
aumento generalizzato di rischio di cancro , con un rischioche appare essere piu’ elevato
nei gruppi che, all’interno delle coorti, erano stati esposti a livelli piu’ elevati di diossina
(1,2).
I livelli di TCDD nel siero degli esposti nei vari studi presi in considerazione variano
fra i 3 e gli 828 ng/Kg di lipidi ematici, con un livello massimo di 56.000 ng/Kg
riscontrato a Seveso poco dopo l’incidente in un bambino di 4 anni con cloracne. Una
delle maggiori difficolta’ per stabilire quale sia stato il reale livello di esposizione iniziale
alla diossina e’ legata al fatto che, con l’eccezione di Seveso, le ricerche in proposito
sono state avviate a distanza di molti anni dall’epoca nella quale si e’ verificato
l’incidente all’origine dell’espposizione. In Germania, ad esempio, i prelievi di sangue
negli esposti all’incidente che si e’ verificato nel 1953, sono stati fatti solo nel 1986. I
risultati indicavano una media di diossina di 15.4 ng/Kg di lipidi ematici , mentre la stima
retrospettiva delle concentrazioni subito dopo l’incidente indicherebbe un valore medio
circa 30 volte piu’ elevato.
30
L’evidenza sperimentale della cancerogenicita’ della diossina e’ dimostrata
dall’induzione di tumori in varie sedi e dopo somministrazione per via orale, cutanea,
sottocutanea e intraperitoneale in topi, ratti e hamster. Somministrata per via orale nei
topi ha indotto tumori benigni e maligni del fegato nei due sessi, e adenomi della tiroide,
linfomi e fibrosarcomi sottocutanei nelle femmine; nei ratti tumori benigni e maligni del
fegato, adenomi follicolari della tiroide, carcinomi della lingua, del palato, dei turbinati e
del polmone; nei topi trattati in eta’ prepubere (10gg) ha indotti linfomi timici e tumori
benigni e maligni del fegato; per via sottocutanea e intraperitoneale ha causato tumori
squamocellulari della pelle; per via cutanea ha causato fibrosarcomi del derma. La
diossina inoltre potenzia la cancerogenicita’ di altri cancerogeni, come le nitrosamine,
con un meccanismo assimilabile a un effetto promovente (1,2).
Oltre alla sua cancerogenicita’, lo spettro degli effetti della diossina sull’
organismo e’ molto ampio. Di particolare importanza e’ la sua capacita’ di interferire
con il sistema endocrino, al punto di essere stata anche descritta come il prototipo degli
endocrine disruptors. Tutti i sistemi ormonali che sono stai presi in esame possono infatti
essere modulati dalla diossina, sia la famiglia degli steroidi (estrogeni, androgeni,
glucocorticoidi, tiroidei) che dei peptidi (prolattina, insulina ecc.). La diossina e’un
induttore di inzimi responsabili del metabolismo sia di sostanze endogene che esogene,
puo’ indurre citochine come il Tumor necrosis factor e le interleukine, e inoltre puo’
deprimere il sistema immunitario.
La diossina causa cloracne, aumenta i livelli di gamma-glutamyltransferasi e delle
31
transaminasi epatiche, aumenta la frequenza e anticipa la comparsa di diabete, diminuisce
la concentrazione dello sperma. I dati sulla frequenza di malformazioni nell’uomo sono
discordanti, anche se diversi studi ne indicano un aumento. Sperimentalmente vi e’
evidenza sufficiente di un effetto tossico sullo sviluppo del sistema nervoso, riproduttivo
e immunitario dopo esposizione prenatale, a concentrazioni nei tessuti fetali oltre 100
volte inferiori a quelle necessarie per indurre effetti simili nell’animale adulto.
L’associazione fra l’ingestione di diossina con il cibo e l’induzione di endometriosi
( proliferazione ectopica, cioe’ fuori dalla sede anatomica normale, di tessuto
endometriale) ha avuto una sua prima dimostrazione sperimentale nelle scimmie rhesus
ed e’ stata poi confermata in diversi altri modelli sperimentali (16). E’ stata quindi
avanzata l’ipotesi che l’aumento di frequenza di endometriosi nei paesi industrializzati
sia associata con l’esposizione alla diossina.
Uno studio eseguito 20 anni dopo l’episodio di Seveso del 1976 su 601 donne che
risiedevano nelle zone A e B e che avevano nel 1976 un eta’ non superiore a 30 anni, ha
identificato 19 casi di endometriosi, corrispondente a un RR di 1.2 -2.1, rispettivamente
per livelli serici di diossina 20.0-100 ppt e superiori a 100ppt (17). Osservazioni simili
sono state fatte in uno studio condotto in Belgio sul rischio di endometriosi in donne non
fertili esposte a diossina e a difenili policlorurati ( 18).
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33
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- BENZENE ( Benzolo) –
Il benzene o benzolo fu isolato per la prima volta da Faraday nel 1825 dai residui del
gas illuminante e la sua struttura fu descritta la prima volta da Kekule’ nel 1865 (1). E’
stato ottenuto per scopi commerciali sin dal 1949 dapprima dal catrame di carbon fossile
e dal 1941 quasi esclusivamente dal petrolio. La sua produzione a livello mondiale supera
i 14 milioni di tonnellate.
Le prime osservazioni di un effetto tossico del benzene risalgono al 1897 quando
vennero osservati casi di anemia aplastica in giovani lavoratrici impiegate nella
fabbricazione di pneumatici per bicicletta ( 2,3). Casi di leucemia correlati
all’esposizione a benzene vengono segnalati negli anni 1920 ( 4) . Dopo di allora casi di
emopatie gravi e di leucemia vengono segnalate da piu’ parti (5-13) e numerosi studi
epidemiologici concordano nel segnalare una nesso causale fra esposizione a benzene e
leucemia ( 14-17). Per quanto la leucemia mieloblastica acuta sia il tipo piu’
34
frequentemente osservato, sono stati osservati casi di tutti i tipi di leucemia (2,17). E’
stato anche riportato un aumento di rischio per il linfoma non-Hodgkin e il mieloma
multiplo (18). Sperimentalmenete il benzene si comporta come un cancerogeno
multipotenziale che induce tumori in organi diversi (19)
IL benzene e’ uno degli esempi rappresentativi della ingiustificata lentezza con la
quale vengono messe in atto delle misure preventive, malgrado esistano dati
incontrovertibili sulla tossicita’ di una sostanza. L’American Conference of
Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) aveva proposto nel 1946 una
concentrazione massima accettabile (Maximum Allowable Concentration,MAC) di 100
ppm, per ridurla poi l’anno seguente a 50 ppm e l’anno successivo a 25ppm. La
concentrazione accettabile e’ continuata a scendere e nel 1987 il National Institute of
Occupational Health (NIOHS) ha statibilito limite a 1 ppm per l’esposizione
professionale(20). L’ACGIH aveva proposto nel 1999 di abbassare la concentrazione
accettabile a 0,1 ppm e la stessa proposta e’ stata recentemente riformulata dal
Collegium Ramazzini, basandosi sull’evidenza che un aumento di rischio di leucemia e’
stato osservato anche a concentrazioni inferiori a 1 ppm.
La progressiva riduzione dei limiti consentiti o accettabili non e’ dovuta tanto a una
diminuzione dell’incertezza dei dati disponibili, poiche’ questi erano gia’ convincenti
negli anni 1940, ma a una serie di difficolta’ deliberatamente interposte da chi aveva
interesse a evitare perdite di profitto o modifiche alla produzione.
I livelli di esposizione calcolati in differenti rapporti di casi e in alcuni studi
epidemiologi potevano variare fra 25ppm e 600 ppm, mentre in altri studi epidemiologici
35
erano di 5 ppm o inferiori (17). Valori di concentrrazioni molto diversi sono stati
registrati in differenti ambienti di lavoro. Nelle raffinerie ad esempio i livelli di
esposizione possono oscillare fra 0,8 ppm e 7,2 ppm, mentre possono arrivare a 32 ppm
nell’industria dei forni coke ed essere molto piu’ alti per i lavoratori portuali addetti alla
pulizia delle petroliere (21). Alcuni studi indicano che anche l’esposizione prolungata a
concentrazioni di 1 ppm possono essere all’origine di un aumento considerevole del
rischio di leucemia e che un aumento di rischio sarebbe
presente anche per esposizioni prolungate a concentrazioni di 0,1 ppm (2, 22,23).
In Italia il Decreto legislativo n.66 del 25 febbraio 2000, che attua con un discreto
ritardo la direttiva CEE 1999/38/CE, stabilisce un valore limite di esposizione
professionale di 1 ppm (3,25 mg/m3) [ fino al 31.12.2001 il limite pero’ e’ rimasto quello
precedente di 3 ppm , ossia 9.75 mg/m3]. Mentre la maggior parte dei paesi europei
sembra allinearsi sul livelo di 1 ppm, la Svezia ha optato per un limite di 0,5ppm.
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37
- STIRENE -
Lo stirene ( etenilbenzene) e’ uno dei piu’ importanti monomeri oggi in uso. E’ stato
isolato per la prima volta nel 1831 da un balsamo naturale, ma la sua produzione
commerciale per deidrogenazione catalitica dell’etilbenzene e’ cominciata nel 1925 in
Germania . La sua produzione mondiale alla fine degli 1990 era di 14 milioni di
tonnellate annue ed e’ usato in una vasta gamma di prodotti legati alla produzione di
polistirene, di resine acrilonitrile-butadiene-stirene, polimeri e resine di stireneacrilonitrile
e di gomma a base di stirene-butadiene.
Lo stirene e’ stato valutato dall’IARC nel 1994 (1) come probabilmente
cancerogeno per l’uomo ed e’ stato quindi incluso nel gruppo 2B della classificazione
IARC . In questo gruppo sono inclusi gli agenti per i quali vi e’ un’evidenza limitata di
cancerogenicita’ nell’uomo e un’evidenza di cancerogenicita’ negli animali da
esperimento meno che sufficiente, oppure agenti per i quali l’evidenza nell’uomo e’
inadeguata, ma l’evidenza sperimentale e’ sufficiente, e inoltre, in alcuni casi, per i quali,
malgrado l’evidenza di cancerogenicita’ nell’uomo sia inadeguata e quella sperimentale
limitata, vi siano altri dati biologici o meccanistici di rilievo. L’IARC aveva incluso lo
stirene nel gruppo 2B per quest’ultima ragione, ossia per l’evidenza che lo stirene e’
metabolizzato a stirene-7,8-oxide che lega covalentemente al DNA , e’ chiaramente
genotossico ed e’ cancerogeno negli animali da esperimento.. La presenza di ossido di
stirene e’ stata accertata nel sangue di lavoratori esposti a stirene e la sua presenza e’
associata al reperto di danni cromosomali anche a basse concentrazioni. L’ossido di
38
stirene (Styrene-7,8-Oxide) e’ considerato come probabile cancerogeno umano
(reasonably anticipated to be a human cacrcinogen) nel 10th Report on Carcinogens del
national Toxicology Program (2),
Sia una serie di rapporti di casi che numerosi studi di coorte concordano nel
mettere in evidenza un aumento di linfomi e leucemie nei lavoratori esposti. Il rischio
appare piu’ elevato per l’esposizione durante la produzione di gomma a base di stirenebutadiene
(1). I livelli di esposizione nei diversi studi negli addetti alla produzione della
gomma variavano da 0.94 ppm(4mg/m3) a 1,99 ppm (8,5mg/m3) e in una coorte arrivava
occasionalmente a 6,66ppm (28,4mg/m3) con una media di 3,53ppm (15mg/m3). Negli
impianti per la produzione e la polimerizzazione dello stirene la concentrazione di stirene
poteva variare fra 5 e 88ppm ( 21 e 375 mg/m3), ma nelle unita’ di polimerizzazione
restava al di sotto di 10ppm e a meta’ degli anni 1970 era al di sotto di 1ppm. In uno di
questi studi e’ stato anche notato un aumento di tumori della laringe. Negli studi di coorte
negli addetti alla produzione di plastica rinforzata, oltre a un aumento dei casi leucemia e
linfomi e’ stato notato un aumento statisticamente non significativo di tumori del
pancreas, esofago e rene.
Nei saggi di cancerogenicita’ a lungo termine lo stirene e’ stato somministrato per
via orale e per inalazione a topi e ratti. I risultati dei test per via orale indicano un
aumento di incidenza dei tumori polmonari nei topi maschi e di tumori epatici nei ratti
femmina. Quando l’esposizione era iniziata in epoca prenatale l’aumento di tumori nei
topi era presente nei due sessi, mentre il saggio sui ratti , forse a causa del numero
limitato di animali e la forte mortalita’, era negativo. Nei ratti esposti per via inalatoria
39
e’ stato osservato un aumento marginale dei tumori mammari nelle femmine. Nel 1994
l’IARC aveva valutato come limitata l’evidenza sperimentale di cancerogenicita’ (1).
Lo stirene e’ stato riconsiderato e una nuova valutazione e’ stata formulata nel 2002 (3).
Mentre l’evidenza sperimentale di cancerogenicita’ e’ stata considerata limitata come nel
1994 malgrado la conferma che lo stirene aumenta la frequenza di tumori polmonari
nei topi, l’evidenza epidemiologica , considerata inadeguata nel 1994, e’ stata valutata
come limitata nel 2002, il che giustificherebbe l’assegnazione al gruppo 2A, ossia
probabile cancerogeno umano. Malgrado cio’ lo stirene e’ stato nuovamente assegnato al
gruppo 2B. Va inoltre notato che non soltanto lo stirene e’ metabolizzato a ossido di
stirene, del quale sono note la genotossicita’ e la cancerogenicita’, ma che l’esposizione
a stirene e’ generalmente combinata anche a quella a ossido di stirene presente come
tale nell’aria dell’ambiente di lavoro (4).
---------------------------
1. IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans. Vol.60. Some
Industrial Chemicals. IARC, Lyon,1994
2. 10th Report on Carcinogens, National Toxicology Program, NIEHS, Research Triangle
Park, NC, 2002.
3. IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans. Vol.,82,
Some traditional herbal medicines,some mycotoxins,naphthalene and styrene. IARC,
Lyon, 2002.
4. Tornero-Velez, R., Rappaport, S.M. Physiological modeling of the relative
contribution of styrene-7,8-oxide derived from direct inhalation and from styrene
metabolism to the systemic dose in humans. Toxicol.Sci, 2001, 64: 151-161.
---------------------------------------------
40
1, 3-BUTADIENE
L’ IARC considerava sin dal 1982 l’occupazione nell’industria della gomma
come cancerogena per l’uomo (1) . Un vasto studio caso controllo sui lavoratori
dell’industria della gomma, ha messo in evidenza negli anni 1970 un sostanziale eccesso
di leucemie e linfomi nei lavoratori del reparto stirene-butadiene (2). Questo stesso
studio metteva in evidenza anche un aumento di tumori dello stomaco. Studi successivi
hanno chiarito che, malgrado l’esposizione a stirene aumentasse di per se’ il rischio di
tumore, l’aumento di rischio era attribuibile in gran parte all’esposizione al butadiene
( 3,4). L’eccesso di leucemie e linfomi negli esposti a 1,3-butadiene e’ stato confermato
da diversi studi successivi, sia di tipo caso-controllo che di coorte (5). I dati sperimentali
concordano pienamente nel dimostrare la cancerogenicita’ dell’1,3-butadiene per il
sistema emolinfopoietico e organi diversi.
Il butadiene e’ metabolizzato in maniera analoga negli animali da esperimento e
nell’uomo, dapprima a 1,2-epoxi-3-butene e in seguito a 1,2:3,4-diepoxibutano.
Quest’ultimo e’ un potente agente alchilante, mutagenico in tutti i sistemi studiati.
L’1,3-butadiene e’ riconosciuto come cancerogeno per l’uomo nel 10th Report on
Carcinogens (5) del National Toxicology Program, mentre, in una contraddizione
difficilmente spiegabile con l’evidenza disponibile della sua cancerogenicita’ nell’uomo
e negli animali da esperimento, l’anologia del suo metabolismo in varie specie animali e
41
nell’uomo, e la mutagenicita’ del suo principale derivato metabolico, l’IARC ha tuttora
mantenuto la sua assegnazione al gruppo 2A (6).
---------------------
1. IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, vol.28.
TheRubber Industry. IARC,Lyon,1982.
2. McMichael,A.J., Andjelkovic,D.A., and Tyroler,H.A., Cancer mortality among rubber
workers: An epidemiologic study. Ann.,N.Y.Acad.Sci.,1976,271:125-137.
3. Matanoski,G.M.,Santos-Burgoa,C., and Schwartz,L. Mortality of a cohort of workers
in the styrene-butadiene polymer manufacturing industry (1943-1982). Environ. Health
Perspect., 1990,86: 107-117.
4. IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans. Vol.54.
Occupational Exposure to Mists and Vapours from Strong Inorganic Acids, and other
Industrial Chemicals. Iarc,Lyon,1992.
5. 10th Report on Carcinogens, National Toxicology Program, NIEHS, Research Triangle
Park,NC,2002.
6. IARC Monographs on the Evaluation of carcinogenic Risks to Humans. Vol.71, Reevaluation
of Some Organic Chemicals, Hydrazine,and Hydrogen Peroxide. IARC, Lyon
1999.
-------------------------
- Acrilonitrile -
L’acrilonitrile, prodotto per la prima volta nel 1893, ha cominciato ad essere
prodotto industrialmente negli anni 1940. Attualmente la produzione mondiale annua si
aggira attorno alle 4000 tonnellate ( 1). L’acrilonitrile e’ tossico e mutagenico e il suo
metabolita principale e’ un epossido molto reattivo.
Diversi studi epidemiologici degli anni 1980 concordano nel riportare un eccesso di
42
tumori polmonari e del sistema emolinfopoietico. Studi successivi negli anni 1990
confermano l’eccesso di tumori polmorari e riportano anche un eccesso di tumori dello
stomaco, due studi riportano anche un eccesso di tumori cerebrali, e uno studio un
eccesso di tumori della prostata.
L’evidenza sperimentale di cancerogenicita’ e’ sufficiente negli animali da
esperimento nei quali induce tumori in diversi organi, fra i quali fegato, stomaco,
ghiandola mammaria e , in particolare, il tessuto nervoso centrale.
L’IARC ha assegnato l’acrilonitrile al gruppo 2B, possibile cancerogeno umano
(1), mentre nel 10th Report on Carcinogens (2) l’acrilonitrile e’ assegnato al gruppo
reasonably anticipated to be a human carcinogen .
1. IARC Monographs on the Evaluation of carcinogenic Risks to Humans. Vol.71, Reevaluation
of Some Organic Chemicals, Hydrazine,and Hydrogen Peroxide. IARC, Lyon
1999.
2. 10th Report on Carcinogens, National Toxicology Program, NIEHS, Research Triangle
Park, NC, 2002.
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- 1,2-Dicloroetano -
L’1,2-dicloroetano e’ un liquido incolore il cui impiego principale e’ la produzione
di cloruro di vinile, ma che ha avuto diversi altri usi, quali la produzione di
tricloroetilene, tetracloroetilene e cloruro di vinilidiene , come antiknocking nella
benzina, come solvente e fumigante. L’esposizione a 1,2-dicloroetano puo’ avvenire per
43
inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo. Ha effetti tossici acuti e cronici, lega
covalentemente al DNA ed e’ mutageno.
Uno studio epidemiologico degli anni 1970 (1) e uno studio degli anni 1980
(2) riportano rispettivamente un eccesso di tumori dello stomaco e di leucemie, e di
tumori della laringe e del cervello. Nel primo studio i livelli di esposizione erano
inizialmente ( anni 1941-47) attorno ai 100mg/m3 per scendere successivamente a livelli
piu’ bassi , non specificati. Nel secondo studio il livello di esposizione a 1,2-dicloroetano
era molto piu’ basso, inferiore a quello raccomandato dal NIOSH, e cioe’ sotto i 4mg/m3
(1ppm), ma vi era anche la possibilita’ di esposizione contemporanea ad altri agenti
chimici(3). Uno studio successivo ( 4) riportava un aumento di tumori del pancreas e del
sistema emolinfopoietico che diveniva piu’ evidente con l’aumento della durata
dell’esposizione. Anche in questo caso pero’ non si poteva escludere che vi fosse
un’esposizione anche ad altri agenti chimici tossici (3). Un altro studio (5) ha confermato
l’aumento dei tumori del sistema emolinfopoietico, sia pure di minor entita’ di quello
osservato nello studio precedente, ma non ha riscontrato un aumento di tumori del
pancreas.
L’IARC assegna l’1,2-dicloroetano al gruppo 2B, possibile cancerogeno umano
(3), e il 10th Report on Carcinogens (6) lo definisce come reasonably anticipated to be a
human carcinogen .
1. Hogstedt,C.,Rohlen,O.,Berndtsson,B.S., Axelson,O., and Ehrenberg,L. A cohort
strudy of mortality and cancer incidence in ethylene oxide production workers.
Br.J.Ind.Med.,1979,36:276-280.
44
2. Sweeney,M.H.,Beaumont,J.J.,Waxweiler,R.J.,and Halperin,W.E. An investigation of
mortality from cancer and other causes of death among workers employed at an east
Texas chemical plant. Arch.Environ.Health.,1986,41:23-28.
3. IARC Monographs on the Evaluation of carcinogenic Risks to Humans. Vol.71, Reevaluation
of Some Organic Chemicals, Hydrazine, and Hydrogen Peroxide. IARC, Lyon
1999.
4. Benson, l.O., and Teta,M.J. Mortality due to pancreatic and lymphopoietic cancers in
chlorohydrin production workers. Cancer Res.,1981,90:710-716.
5.
Olsen,G.W.,Lacy,S.E.,Bodner,K.M.,Chau,M.,Arceneaux,T.G.,Cartmill,J.B.,Ramlow,J.M.
,and Boswell, J.M. Mortality from pancreatic and lymphopoietic cancer among workers
in ethylene and propylene chlorohydrin production. Occup.Environ.Med.,1997,54:592-
598.
* * *
- Considerazioni conclusive -
Con riferimento ai quesiti posti dai Pubblici Ministeri Dott. Marco Martani e Giulio
Tamburini, e di seguito a quanto esposto nelle pagine precedenti, e’ possibile arrivare
alle seguenti considerazioni conclusive:
1. Il primo riconoscimento di un nesso causale fra l’esposizione a un agente
ambientale e cancro nell’uomo risale al XVIII secolo e riguarda un agente voluttuario, il
tabacco da fiuto (1761), e una esposizione occupazionale, quella degli spazzacamini alla
fuliggine dei camini (1775). Nel secolo successivo viene identificato il primo nesso
causale fra un medicinale, il liquore di Fowler a base di arsenico, e tumori cutanei (1888),
e di seguito fra l’esposizione occupazionale durante la produzione di anilina e tumori
della vescica (1895), con la susseguente identificazione di alcune amine aromatiche come
agenti causali. Nel 1902 vengono pubblicate le prime osservazioni sull’azione
cancerogena delle radiazioni ionnizzanti.
Sin dall’inizio del secolo XIX quindi la letteratura scientifica conteneva gia’ sufficienti
informazioni per concludere che : a) il cancro nell’uomo poteva essere causato da agenti
ambientali; b) la capacita’ di indurre tumori nell’uomo era una proprieta’ condivisa da
agenti con caratteristiche totalmente diverse, e cioe’composti chimici di strutture diverse,
e agenti fisici. Nel 1911 viene prodotta la prima evidenza sperimentale dell’induzione di
tumori a mezzo di un agente filtrabile.
2. Un considerevole impulso al progresso delle conoscenze del processo di
cancerogenesi e’ legato alla nascita e allo sviluppo della cancerogenesi sperimentale
della quale si puo’ considerare come data di nascita il 1915, quando due ricercatori
giapponesi, Yamagiwa e Ichikawa, riuscirono per primi a indurre dei tumori cutanei
sull’orecchio dei conigli. Le successive tappe fondamentali sono state : a) l’induzione
sperimentale di tumori cutanei con estratti di fuliggine (1922), che forni’ la conferma
sperimentale dell’osservazione clinica dei tumori degli spazzacamini; b) la prima
identificazione strutturale di un cancerogeno chimico, il 1,2,5,6-dibenzantracene (1930),
seguita dall’isolamento dal catrame di altri composti con azione cancerogena; c) la
dimostrazione che i composti cancerogeni potevano esercitare la loro azione a distanza
dal loro punto di ingresso nell’organismo (1925,1935); d) la dimostrazione che l’azione
46
cancerogena in molti casi era svolta non dal composto originale, ma da uno dei suoi
derivati dopo attivazione metabolica (1935-1949).
Un contributo sostanziale della cancerogenesi sperimentale alla prevenzione primaria
dei tumori e’ inoltre costituita dalla capacita’ dei risultati sperimentali di predire effetti
analoghi nell’uomo e rendere possibile in tal modo la messa in atto di una efficace
prevenzione primaria.
3. Esiste l’evidenza epidemiologica convincente che l’esposizione a due agenti
cancerogeni possa avere un effetto additivo e moltiplicativo ( sinergico) rispetto
all’effetto attribuibile a uno solo dei due agenti. Questo e’ il caso, per esempio, per
l’esposizione combinata a fumo di tabacco e amianto, fumo di tabacco e alcohol, fumo di
tabacco e radon, aflatossina e virus dell’epatite B. Le osservazioni su una possibile
interazione fra tre o piu’ agenti sono praticamente inesistenti, e cio’ e’ dovuto, malgrado
la plausibilita’ biologica di una tale interazione, alle quasi insormontabili difficolta’ di
imbastire uno studio epidemiologico credibile su piu’ di due fattori di rischio.
A causa di queste medesime difficolta’ l’eventualita’ che due cancerogeni a dosi
cosi’ basse da non causare, qualora fossero applicati da soli, un aumento effettivamente
misurabile del rischio di tumore, possano, se applicati insieme, innalzare il rischio di
cancro, viene genericamente menzionata, ma non e’ mai stata approfondita.
E’ pertanto accettato universalmente che il processo di cancerogenesi sia un processo a
piu’ stadi che possono susseguirsi per l’effetto prevalente di un solo agente causale, sia
dopo un’unica esposizione ad alte dosi ( come nel caso delle radiazioni ionizzanti) che
dopo esposizioni estese e/o ripetute nel tempo, come accade per molte situazioni
occupazionali> E’ altresi accettato che, in una gran parte dei casi, sia multifattoriale il
che implica, per definizione, la cooperazione fra diversi agenti di rischio. E’ accettato
quindi che una serie di eventi legati a fattori diversi possano essere all’origine della
graduale trasformazione cellulare fino al raggiungimento di una totale autonomia dai
meccanismi di controllo e alla capacita’ delle cellule trasformate di invadere i tessuti
circostanti e dare metastasi. Sulla base della plausibilita’ biologica cio’ autorizza a
considerare verosimile che l’esposizione a piu’ agenti cancerogeni a concentrazioni
cosi’ basse da essere generalmente giudicate accettabili per ognuno di essi preso
individualmente, possa risultare in un aumento di rischio di tumore. E’ evidente che in
una situazione dove la presenza di numerosi agenti cancerogeni e’ assodata, come accade
all’interno di uno stabilimento petrolchimico, la possibilita’ di un’interazione fra diversi
agenti, anche quando le concentrazioni sono relativamente basse, deve essere presa in
seria considerazione.
4. Per i composti elencati dai Pubblici Ministeri la progressione delle osservazioni
cliniche e delle conoscenze scientifiche che avrebbero permesso la messa in atto di una
prevenzione primaria efficace, basata sulla drastica riduzione o la totale eliminazione
dell’esposizione, viene riassunta concisamente qui di seguito:
a) amianto:
Malgrado le relazioni ufficiali sugli effetti nocivi dell’amianto risalgano ai primi
anni del secolo scorso, l’associazione fra esposizione all’amianto e carcinoma polmonare
viene descritta per la prima volta contemporaneamente negli SU e in Gran Bretagna nel
1935. Nel 1938 il carcinoma polmonare negli esposti all’ amianto viene riconosciuto
come malattia professionale in Germania, e nel 1942, sempre in Germania, il carcinoma
polmonare associato ad asbestosi viene ufficialmente riconosciuto come malattia
professionale indennizzabile.
Casi singoli di tumori della pleura ( il termine mesotelioma viene coniato nel 1931) in
esposti all’amianto vengono segnalati in diverse pubblicazioni gia’ negli anni 1930-40 e
un’indagine epidemiologica iniziata nel 1956, e i cui risultati vengono pubblicati nel
1960, conferma la validita’ delle prime osservazioni e fornisce la prova inequivocabile
che l’esposizione all’amianto causa mesoteliomi.
Nel 1977 l’International Agency for Research on Cancer (IARC) classifica come
cancerogene per l’uomo tutte le varieta’ di amianto, e stabilisce che non esiste un valore
di soglia al di sotto del quale l’esposizione ad amianto possa essere dichiarata priva di
rischio oncogeno. Il 10th Report on Carcinogens riconosce come cancerogene per l’uomo
tutte le forme commerciali di amianto.
b) diossine
Le diossine possono originare da reazioni chimiche (ad es. nella produzione
dell’erbicida 2,4,5-T, nella produzione di cloruro di vinile), termiche ( durante
l’incenerimento di residui industriali, rifiuti ospedalieri, rifiuti domestici), fotochimiche e
biochimiche ( da composti clorurati).
La 2,3,7,8-tetracloro dibenzo diossina (TCDD) e’ considerata cancerogena per
l’uomo sia dall’IARC (gruppo 1), che dal NTP nel suo 10th Report on Carcinogens.
L’esposizione a diossina aumenta la mortalita’ per tumori in molte sedi fra le quali, nei
due sessi, i sarcomi dei tessuti molli, mieloma multiplo e leucemia mieloide, nei maschi il
polmone e il retto, nelle femmine la ghiandola mammaria..
L’evidenza sperimentale di cancerogenicita’ e’ sufficiente e data dalla fine degli
anni 1970, confermata ampiamente da studi successivi negli anni 1980.
c) benzene
Dopo le segnalazioni di anemia aplastica che risalgono alla fine del XIX secolo,
casi di leucemia negli esposti a benzene vengono riportati per la prima volta nel 1920.
L’associazione causale fra esposizione a benzene e leucemia viene ampiamente
confermata da una serie di rapporti di casi negli anni 1930. Mentre i rapporti di casi
continuano negli anni 1960, studi epidemiologici degli anni 1970-1980 non fanno che
portare ulteriore conferma alla cancerogenicita’ del benzene.
Il tipo di leucemia piu’ frequente dopo esposizione a benzene e’ la leucemia
mieloblastica acuta, ma e’ stato osservato un aumento di frequenza per tutti i tipi di
leucemia. Il benzene e’ classificato come cancerogeno umano sia dall’IARC (gruppo 1),
che dal 10th Report on Carcinogens.
Attuando una direttiva CEE del 1999 l’Italia ha stabilito nel 2000 un valore limite
di esposizione professionale di 1ppm (3,25mg/m3), mentre la Svezia ha optato per un
limite a 0,5 ppm. Diversi studi indicano che l’esposizione prolungata a concentrazioni
anche inferiori a 1 ppm aumenta il rischio di leucemia.
d) stirene
Le prime osservazioni che indicano un aumento di rischio di leucemia e linfomi
negli esposti a stirene risalgono al 1976 e 1978, seguite da osservazioni analoghe nel
1980, 1982, e 1985. E’ stato inoltre riportato un aumento della mortalita’ per tumori
esofagei, broncopolmonari, laringei, del pancreas e della cervice uterina.
L’esposizione a stirene e’ spesso combinata con l’ esposizione ad altri agenti
cancerogeni, come il butadiene e il benzene e non e’ quindi sempre possibile definire con
assoluta precisione quanto dell’aumento di rischio sia attribuibile esclusivamente allo
stirene o ad un effetto congiunto, ma dove e’ stato possibile quantificare l’effetto dovuto
alle singole esposizioni., e’ stata confermata la cancerogenicita’ per se’ dello stirene.
Il metabolita principale dello stirene e’ il 7,8-ossido di stirene, che lega in
maniera covalente al DNA , e’ genotossico e ha un’evidenza sperimentale sufficiente di
cancerogenicita’. L’ossido di stirene e’ classificato come probabile cancerogeno umano
(gruppo 2A) dall’IARC e come “reasonably expected to be carcinogenic to humans”
10th Report on Carcinogens. Paradossalmente lo stirene viene invece classificato
dall’IARC nel gruppo 2B, pur essendo evidente come l’esposizione a stirene comporti
inevitabilmente l’esposizione al suo principale metabolita 7,8-ossido di stirene.
d) 1,3-butadiene
Le prime osservazioni che dimostrano una associazione fra esposizione a
butadiene e un eccesso di tumori del sistema emolinfopoietico (linfomi e leucemie)
risalgono agli anni 1980. Una serie di studi successivi non ha fatto che confermare
ampiamente la relazione causale fra esposizione a butadiene e l’induzione di leucemie e
linfomi. L’evidenza sperimentale sufficiente di cancerogenicita’del butadiene risale
anch’essa agli anni 1980.
Il budadiene e’ riconosciuto come cancerogeno umano nel 10th Report on
Carcinogens , mentre l’IARC, in insolita e inspiegabile contraddizione, malgrado
un’evidenza epidemiologica convincente, l’evidenza sperimentale di cancerogenicita’
sufficiente e le analogie del metabolismo nell’uomo e negli animali da esperimento, ha
continuato a mantenere il butadiene nel gruppo 2A ( probabile cancerogeno umano).
e) Acrilonitrile
L’evidenza epidemiologica di un eccesso di tumori polmonari e del sistema
emolinfopoietico in esposti ad acrilonitrile risale agli anni 1980. Successivamente, negli
anni 1990, e‘ stato riportato anche un eccesso di tumori dello stomaco, della prostata e
del cervello. L’evidenza sperimentale di cancerogenicita’, che data dagli anni 1970 e
1980, e’ considerata sufficiente e si basa sull’induzione di tumori in varie sedi incluso il
sistema nervoso centrale.
L’acrilonitrile e’ incluso nel gruppo 2B dell’IARC (possibile cancerogeno umano),
ed e’ considerato nel 10th Report on Carcinogens come reasonably expected to be a
human carcinogen.
e) 1,2-dicloroetano
L’evidenza epidemiologica della cancerogenicita’ dell’1,2-dicloroetano che mette
in evidenza un eccesso di tumori dello stomaco e leucemie risale agli anni 1970. Negli
anni 1980 e’ stato riportato un eccesso di tumori della laringe e del cervello, e infine negli
anni 1990 un eccesso di tumori del pancreas. L’evidenza sperimentale di cancerogenicita’
e’ sufficiente e data dagli anni 1980.
E’ incluso nel gruppo 2B (possibile cancerogeno umano) dell’IARC, ed e’
considerato come reasonably expected to be a human carcinogen nel 10th Report on
Carcinogens.
5. Il proposito e l’utilita’ di avere una lista di fattori di rischio riconosciuti come agenti
causali di cancro nell’uomo sulla quale potersi basare nel difficile e complesso processo
di legiferare in tema di prevenzione primaria dei tumori, e’ all’origine sia del Programma
delle Monografie dell’IARC sulla valutazione dei rischi cancerogeni nell’uomo, che del
programma del National Toxicology Program (NTP) americano per la preparazione dei
rapporti biennali sui cancerogeni.
La lista che si puo’ ora compilare sulla base delle valutazioni che l’IARC ha fatto
dopo aver elaborato e perfezionato i criteri di valutazione dell’evidenza epidemiologica e
e sperimentale dei dati disponibili, ha un eccellente valore informativo sullo stato delle
conoscenze nei riguardi degli agenti ambientali considerati. Tale lista, pur godendo di una
alta credibilita’ scientifica, non ha carattere di validita’ ufficiale, e cioe’ le
categorizzazioni che ne sono conseguite non possono essere automaticamente tradotte in
misure legislative che sono la responsabilita’ delle autorita’ governative o di altre
organizzazioni internazionali.
Come e’ specificato nel preambolo delle Monografie dell’IARC, le valutazioni sono il
risultato di un giudizio scientifico rigoroso e obiettivo appoggiato a un’ essenziale
componente statistica, che ne rappresenta la forza, ma del quale e’ importante mettere in
luce anche i limiti. Mentre infatti un’ evidenza epidemiologica sufficiente di
cancerogenicita’ (a dimostrazione di una relazione causale fra esposizione e un eccesso
di tumori statisticamente significativo, cancerogeno per l’uomo, gruppo 1) e’ considerata
definitiva e accettata universalmente, e impone, o quanto meno dovrebbe imporre,
misure di prevenzione immediate e drastiche, un’evidenza meno che sufficiente
(evidenza limitata, nella dizione dell’IARC), anche se abbinata a un’evidenza
sperimentale sufficiente di cancerogenicita’, classifica l’agente in questione come
possibile cancerogeno umano(gruppo 2A) , il che ha talora autorizzato le autorita’
competenti a prendere misure diverse ( o a non prenderne alcuna), scartando l’adesione a
un criterio di precauzione e di protezione della salute che invece consiglierebbe misure,
se non necessariemente identiche, analoghe a quelle da prendere per gli agenti inclusi nel
gruppo 1.
Il confine infatti che separa il gruppo 1 dell’IARC dal gruppo 2A e’ sottile e spesso
indistinto. Basti ricordare ad esempio il caso del butadiene che, per uno sfortunato
incidente di percorso in un gruppo di lavoro dell’IARC, e’ stato mantenuto nel gruppo 2A
dell’IARC, mentre e’ giustamente considerato come cancerogeno umano nel 10th Report
on Carcinogens del NTP.
Le valutazioni e quindi l’assegnazione di un agente ai vari gruppi 1, 2A, 2B, e 3
dell’IARC non forniscono soltanto, e nemmeno principalmente, la misura dell’attivita’
cancerogena propria di un agente, ma piuttosto della quantita’ e qualita’ delle indagini
epidemiologiche e osservazioni cliniche che sono state fatte nei suoi riguardi. In assenza
di una certezza assoluta, che in biologia e’praticamente irraggiungibile, e’ sulla base del
livello di probabilita’ che viene stabilita l’esistenza o meno di una relazione causale fra
un’esposizione e l’induzione di tumori nell’uomo. Questa base numerica non riflette di
necessita’ l’intera realta’ biologica, dato che si basa, come gia’ accennato, sulla
disponibilita’ di adeguati dati pertinenti. Per esempio, il berillio nel 1980 era stato
valutato come sospetto cancerogeno per l’uomo per via della scarsita’ di dati pubblicati
che ne dimostravano l’azione cancerogena. Il berillio e’ stato inserito nel gruppo 1,
cancerogeno per l’uomo, tredici anni dopo nel 1993, non certo perche’ la sua capacita’ di
indurre tumori fosse cambiata, ma perche’ si erano resi disponibili ulteriori dati che non
facevano che confermare quanto si sarebbe potuto concludere gia’ nel 1980 se si fosse
data priorita’ al principio di precauzione.
La lodevole attitudine dell’IARC di aderire strettamente a criteri di valutazione
ancorati a una rigida interpretazione di principi scientificamente ineccepibili ha fatto
pendere il piatto della bilancia verso la prevalenza dei dati epidemiologici e statistici,
sottovalutando troppo spesso il valore dell’evidenza di cancerogenicita’ fornita dai
risultati sperimentali, come pure la loro capacita’ di predire effetti analoghi nell’uomo, e
spesso anche ignorando rapporti di casi o studi epidemiologici di limitata potenza
statistica, ma che costituivano essenziali spie informative di una situazione di rischio.
Cio’ ha protetto gli epidemiologi dal rischio di cadere nell’errore di valutazioni
falsamente positive, ma non da quello di arrivare a valutazioni falsamente negative.
L’iniziativa che l’IARC ha preso da qualche tempo di includere nei criteri di
valutazione della cancerogenicita’ i dati che riguardano i meccanismi d’azione conferisce
maggior peso alla plausibilita’ biologica di una attivita’ cancerogena basata su dati
sperimentali e bilancia fino a un certo punto il prevalere nella valutazione di
cancerogenocita’ per l’uomo dei criteri epidemiologici. Cio’ ha permesso di includere nel
gruppo 1 alcuni agenti i per i quali l’evidenza epidemiologica era meno che sufficiente.
E’ pero’ anche accaduto che dati sui meccanismi, non validati o non verificati o mal
interpretati, abbiano favorito un indebito slittamento verso il basso della valutazione
dell’evidenza di cancerogenicita’ di alcuni agenti.
Il 7,8-ossido di stirene e’ incluso nel gruppo 2A, e l’acrilonitrile, lo stirene e l’1,2-
dicloroetano nel gruppo 2B, non tanto perche’ la plausibilita’ biologica della loro
cancerogenicita’ per l’uomo non sia convincente o perche’ non vi siano elementi che
indichino la loro cancerigenicita’ per l’uomo, ma perche’ i dati epidemiologici che li
riguardano non sono statisticamente inattaccabili o perche’ non sono stati messi nel
giusto risalto i dati sperimentali della loro loro cancerogenicita’. Pure nel dar atto che
un’agenzia come l’IARC deve procedere con responsabile cautela nel formulare
valutazioni che hanno risonanza internazionale, e’ essenziale che non si trascuri una
cautela responsabile altrettanto valida come quella che si ispira al principio di
precauzione. |